Jorgenson non ha aspettato che fosse il mondo ad accorgersi di lui.

 

 

“Mi chiamo Matteo Jorgenson e sono un ragazzo americano di diciotto anni. Sto disputando la mia ultima stagione tra gli juniores con la Hot Tubes Cycling e nella prossima mi piacerebbe davvero poter correre per voi. Adesso sono in Europa, mi sto preparando per i campionati del mondo; essendo entrato nel giro della nazionale americana, ho già avuto l’opportunità di vivere e pedalare in Europa. Credo che il calendario europeo sia tutto quello di cui ha bisogno un corridore per diventare forte: ecco perché vi scrivo”.

Negli ultimi mesi del 2017 Matteo Jorgenson ha scritto diverse dozzine di e-mail simili. “Qual è il profilo che cerca questa squadra? Cosa potrei dare loro? A quali corse partecipano?”, si chiedeva Jorgenson quotidianamente. Spediva tre e-mail al giorno, dopo gli allenamenti, e ad ognuna di esse dedicava un’ora del suo tempo: dovevano essere accurate, chiare, convincenti. Nei quattro anni passati tra Europa e America con la nazionale americana, Jorgenson aveva potuto toccare con mano la difficile realtà al quale ogni giovane corridore americano andava in contro: a meno che non si tratti di un prodigio, le squadre europee non investono molto volentieri su un ragazzo che viene dall’altra parte del mondo. Jorgenson, insomma, ha capito che per attrarre l’interesse dell’Europa, doveva essere lui prima di tutto ad investire su se stesso.

“Mandare e-mail, conoscere di persona i direttori sportivi, chiedere informazioni in giro: tutto quello che poteva tornarmi utile per pubblicizzare il mio nome, l’ho fatto”, ha dichiarato recentemente Jorgenson a Velonews. In un primo momento, la sua intraprendenza non lo portò da nessuna parte. Anzi, negli ultimi mesi del 2017 dovette incassare con dispiacere il rifiuto di Axel Merckx: nel 2018 non avrebbe fatto parte della Hagens Berman Axeon, una delle realtà giovanili più importanti del panorama internazionale. L’accordo stipulato con la Jelly Belly Maxxis, tuttavia, gli concedeva un’ultima chance: correre con la nazionale americana un certo numero di prove del calendario europeo. Giusto in tempo: quest’anno la federazione americana ha tagliato ulteriormente i fondi e questa possibilità non esiste più.

L’inizio del carteggio con la Chambéry risale al mese di maggio del 2018, dopo aver terminato al nono posto il  Rhône-Alpes Isère Tour; la formazione-vivaio della AG2R aveva accolto con piacere le e-mail di Jorgenson, nelle quali l’americano allegava le prestazioni fatte registrare nella breve corsa a tappe francese. Tuttavia, aver trovato una squadra europea per il 2019 non poteva bastare: per sopravvivere ed eccellere in un nuovo contesto, infatti, strumenti come la lingua e la personalità sono imprescindibili. Jorgenson, più che dalla seconda, era preoccupato dalla prima: non conosceva niente del francese e avrebbe dovuto vivere in Francia per un anno. La sua ambizione ebbe la meglio: era un’occasione d’oro e non l’avrebbe buttata via come tanti altri ragazzi stranieri avevano fatto prima di lui.

Quando i suoi nuovi compagni di squadra lo conobbero, non credevano ai loro occhi – e orecchie: davanti a loro c’era un ragazzo di diciannove anni che in qualche mese aveva imparato una nuova lingua grazie alla quale riusciva a conversare tranquillamente con chi gli stava attorno. Jorgenson è stato il primo a stupirsi:

“Parlavo francese in gruppo, coi compagni e coi rivali, persino nelle interviste”.

Il francese progrediva di pari passo coi suoi risultati: nemmeno un bruttissimo taglio rimediato alla Parigi-Roubaix a causa di un contatto con dei freni a disco gli ha impedito di brillare. Arrivato al Tour de l’Avenir senza speranza né disperazione, Jorgenson ha conquistato quattro piazzamenti tra i primi dieci e la classifica a punti: un bottino eccezionale, considerando che l’incidente lo aveva obbligato a fermarsi per tre settimane nel bel mezzo della stagione. Per la prima volta, una e-mail in entrata e non in uscita: veniva dalla Movistar, che voleva saperne di più sul suo conto.

Matteo Jorgenson sarà il primo americano dal 1995 a correre per la Movistar – l’ultimo fu Andrew Hampsten. Pur essendo alto un metro e novanta, preferisce la salita a tutto il resto: dice che non è sicuro di diventare uno scalatore, ma fino ad ora la sua carriera gli ha suggerito questo. Viene descritto come un ragazzo maturo, estremamente consapevole dei suoi limiti:

“Perfino troppo, direi: devo imparare a spegnere il cervello, di tanto in tanto, e a buttarmi”.

L’AG2R sembrava la scelta più logica, per un giovane che ha corso per la Chambéry, ma il progetto della Movistar lo ha convinto di più. Jorgenson si è dimostrato quadrato anche di fronte alle considerazioni di alcuni addetti ai lavori, secondo i quali sarebbe troppo giovane per approdare al professionismo. “Mi sono chiesto se per il mio processo di crescita fosse meglio tramutare in vittorie tanti piazzamenti oppure iniziare a prendere confidenza con un mondo che almeno in un primo momento mi darà soltanto delusioni: ho scelto la seconda, opportunità del genere non maturano tutti i giorni”. Tornerà dunque in Spagna, dove ha vissuto per un anno con la sua famiglia quand’era piccolo; dello spagnolo non ricorda niente, ma la sfida sembra alla sua portata: c’è un’altra lingua da imparare.

 

 

Foto in evidenza: ©Julie Desanlis

Davide Bernardini

Davide Bernardini

Fondatore e direttore editoriale di Suiveur. È nato nel 1994 e momentaneamente tenta di far andare d'accordo studi universitari e giornalismo. Collabora con la Compagnia Editoriale di Sergio Neri e reputa "Dal pavé allo Stelvio", sua creatura, una realtà interessante ma incompleta.