Gaston Rebry non ha niente da invidiare a Boonen e Cancellara.

 

 

Diversi corridori hanno chiaro il loro terreno d’elezione sin dal momento in cui prendono in mano la bicicletta per la prima volta. Taluni, invece, passano anni a percorrere sentieri che non gli appartengono del tutto. Lampante, da questo punto di vista, è il caso del fiammingo Gaston Rebry, uno dei più grandi interpreti delle gare in linea a cavallo tra gli anni ’20 e gli anni ’30 del ‘900.

Soprannominato il Bulldog per via dei tratti canini del suo viso, Gaston nei primi anni da professionista non pensa che al Tour de France. Per quanto ci provi, tuttavia, la Grande Boucle gli sarà sempre indigesta. Dopo anni di fallimenti, però, decide di mettere da parte quel sogno per dedicarsi alla sua vera vocazione: le classiche del nord. I risultati saranno a dir poco grandiosi.

Rebry nasce a Rollegem-Kapelle, nel cuore delle Fiandre occidentali, il 29 gennaio 1905. Si contraddistingue da subito come atleta completo: se la cava anche sulle salite lunghe, risulterà financo capace di scollinare per primo sul Galibier al Tour del 1929; nel suo DNA, però, ci sono e sempre ci saranno quelle pietre che conosce sin dal dì in cui mise il piede giù dalla culla.

©Feargal McKay, Twitter

Inizia a correre coi grandi, pur da indipendente, a diciott’anni, nel 1923. Dovrà aspettare tre stagioni, però, per consacrarsi. Nel 1926, infatti, giungono le prime vittorie di rango: la Parigi-Nantes e la Lione-Belfort. Il risultato più eclatante, ad ogni modo, lo coglie alla Parigi-Roubaix.

Il 4 aprile 1926 Gaston prende parte, per la prima volta in carriera, alla Regina delle Classiche. Il pavé, quel dì, è ricoperto di fango. In mattinata, infatti, un temporale si è abbattuto sulle viuzze che compongono l’Inferno del Nord. Il protagonista assoluto di giornata è Henri Pélissier. Il francese attacca a ripetizione, in pochi riescono a contenere i suoi scatti.

In testa con il fuoriclasse transalpino, a un certo punto, restano solo quattro belgi. Il ventiduenne Julien Delbecque, conquistatore del Giro delle Fiandre 1925, l’eterno piazzato Gustave Van Slembrouck e il duo Peugeot composto da Lode Eelen e dallo stesso Gaston Rebry. Henri dà l’idea di avere la situazione sotto controllo. Una foratura, tuttavia, lo trafigge, mettendo fine di colpo ai suoi sogni di gloria.

Nel finale Delbecque e Van Slembrouck riescono ad avvantaggiarsi sui connazionali. Ad alzare le braccia al cielo sarà Julien. Rebry, ad ogni modo, supera il compagno di squadra e, al primo tentativo, agguanta un bel terzo posto alla Roubaix.

Per gli appassionati del tempo, il podio di quell’edizione della Regina delle Classiche rappresenta il sorpasso della nuova generazione sulla vecchia. Su di esso, infatti, vi sono un ventiduenne, un ventiquattrenne e un ventunenne. Delbecque, in quel momento, è il nome più quotato. La sua stella, tuttavia, si offuscherà molto presto. Colui che sarà destinato a segnare un’epoca, invece, è proprio Gaston Rebry.

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Gaston, nel 1927, decide di prendere parte al suo primo Tour de France. La Grande Boucle è già la corsa più ambita del mondo, il più grande sogno di ogni corridore. Rebry ci tiene particolarmente, al punto da sacrificare le classiche di primavera, nelle quali risulta essere notevolmente spuntato. Spera, infatti, che risparmiandosi nelle gare del nord possa arrivare più fresco al grande giro transalpino.

La sua strategia, tuttavia, si rivela drammaticamente controproducente. In terra di Francia è oltremodo fiacco, non riesce quasi mai a farsi notare. Raccoglie appena un secondo posto nella nona frazione; tre giorni più tardi decide di ritirarsi. La Peugeot, dopo questi brutti risultati, lo allontana. Per sua fortuna, Gaston troverà asilo nella Alcyon-Dunlop.

Nel biennio seguente, Gaston si sdoppia tra Tour de France e Parigi-Roubaix. Alla Grande Boucle arrivano risultati assai migliori rispetto a quelli del 1927: vince una tappa sia nel ’28 che nel ’29 e in quest’ultima occasione si veste anche di giallo, seppur per un solo giorno; in classifica generale, invece, ottiene come miglior piazzamento un decimo posto. All’Inferno del Nord, tuttavia, si produce in prestazioni notevolmente più convincenti: è quarto nel ’28 e quinto nel ’29.

La sua stella, però, sembra potersi spegnere già nel 1930. Gaston, in quel momento, ha appena venticinque anni, ma finisce in un vortice di problemi fisici che non gli danno tregua per tutta l’annata. Dato che capitava sovente ai corridori belgi di tramontare anzitempo, molti iniziano già a considerare Rebry un atleta finito. D’altronde l’esempio del sopracciato Julien Delbecque, il quale è ormai in caduta libera da diverso tempo, è sotto gli occhi di tutti.

Ma il soprannome Bulldog, Gaston, non lo ha ricevuto per caso. Non lo chiamano il Bulldog solo per via delle sue guance, ma anche perché ha una tenacia decisamente fuori dall’ordinario. Rebry passa l’inverno del 1930 ad allenarsi e si presenta al via della stagione 1931 con una condizione a dir poco eccezionale. Dopo una buona fase di rodaggio tra febbraio e marzo, il 5 aprile partecipa alla Parigi-Roubaix.

A sinistra Rebry, a destra Demuysere. ©kris mahieu, Twitter

Quel dì le stradine in cui si snoda l’Inferno del Nord sono funestate da una tempesta. La pioggia scende senza sosta. Folate di gelido vento laterale si abbattono come colpi di scure sul gruppo. È una giornata per indomiti avventurieri. Molti la temono, ma non Gaston: il Bulldog in quelle condizioni si esalta. Quando la corsa entra nel vivo si mette a fare il ritmo in testa al gruppo. Uno dopo l’altro tutti i rivali mollano. Solo il connazionale Emile Joly sembra poterlo insidiare.

Quando mancano pochi chilometri al traguardo, però, una foratura appieda Joly. Rebry, dunque, resta da solo alla guida della Regina delle Classiche. Mentre il maltempo non gli dà tregua, i pochi chilometri rimasti per lui si trasformano in una passerella trionfale. A ventisei anni Gaston conquista la sua prima Parigi-Roubaix. Una gara che, pur non essendo in cima alla sua lista dei desideri, sembra far parte del suo destino.

Più in là nella stagione prende parte alla sua amata Grande Boucle e sforna la miglior prestazione della carriera. In classifica generale è quarto e al bellissimo piazzamento aggiunge una vittoria di tappa: s’impone, infatti, nella Charleville-Mézières-Malo-les-Bains di duecentosettantuno chilometri, una frazione decisamente inusuale che presentava diversi tratti di pavé. Su quella superficie, ormai, Gaston non ha più rivali.

Ad ogni modo, nonostante i bei risultati conseguiti, nemmeno in quest’occasione Rebry si è realmente giocato la vittoria del Tour de France. Anzi, negli ultimi giorni fa sostanzialmente da scudiero al compagno Jef Demuysere, il quale prova il tutto per tutto nel tentativo disperato di strappare la maglia gialla al fuoriclasse transalpino Antonin Magne.

Eppure Rebry ancora non vuole ascoltare ciò che la strada sta cercando di comunicargli. Prosegue nel suo inseguimento alla Grande Boucle per altre due stagioni. I risultati, purtroppo per lui, saranno nefasti. Non riesce più a cogliere bei piazzamenti in classifica generale. Inoltre, l’unico successo parziale lo ottiene nella riproposizione della Charleville-Mézières-Malo-les-Bains nel 1932.

©Germán Bouso, Twitter

Finalmente nel 1934 Gaston decide di cambiare direzione. Prepara meticolosamente la primavera e l’esito sarà favoloso. Inizia l’annata al meglio imponendosi nella seconda edizione della Parigi-Nizza. Dopodiché, prende parte al Giro delle Fiandre, classica a lui particolarmente indigesta. Stavolta che il Bulldog è al massimo delle sue possibilità, però, la musica cambia decisamente.

Sulle pietre di Kwaremont, Kruisberg ed Edelareberg, Rebry è incontenibile. Porta via un plotoncino di sette atleti, ma uno dopo l’altro li schianta tutti quanti senza pietà. Fons Schepers giunge secondo a 4’16”, mentre Félicien Vervaecke è terzo a 6’55”. Dal quinto in giù subiscono tutti un passivo abbondantemente superiore ai dieci primi. Con quel colpo di pedale eccezionale, appena due settimane più tardi, si presenta al via della Parigi-Roubaix con il sogno di fare quella doppietta riuscita in precedenza solo all’elvetico Heiri Suter e al connazionale Romain Gijssels.

Nella Regina delle Classiche, tuttavia, la concorrenza è di livello superiore. La Ronde, negli anni ’30, è ancora molto provinciale. Sovente i grossi calibri non fiamminghi non vi prendono parte. Al contrario, in Francia tutti i più splendenti astri del firmamento ciclistico sono della partita. Gaston è nuovamente protagonista di una prestazione eccezionale, ma a dieci chilometri dalla meta ha ancora tre rivali sulla sua ruota. Si tratta dei francesi Roger Lapébie e René Le Grevès e del connazionale Jean Wauters.

La dea bendata decide di schierarsi dalla parte dei fiamminghi: Le Grevès rompe il manubrio e Lapébie fora. Quest’ultimo, tuttavia, prende la bici di una tifosa a bordostrada e si mantiene poco dietro i primi, fino a quando non trova un meccanico della sua squadra che gli passa un mezzo più consono. Il transalpino, dopodiché, resta con Rebry, mentre Wauters nelle ultime centinaia di metri cede, e lo fulmina in volata.

Al tempo, però, era vietato cambiare bicicletta. Oltretutto, a inizio gara era stato messo un simbolo sui mezzi degli atleti per controllare che nessuno sgarrasse. La giuria, dunque, non può far altro che squalificare Lapébie e dare la vittoria a Rebry. In maniera quantomai bizzarra, ma decisamente non immeritata, Rebry conquista la sua seconda Roubaix e diventa il terzo nella storia a fare la doppietta.

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Torna nuovamente al Tour de France anche nel luglio del 1934. Ad ogni modo, si presenta al via della gara francese particolarmente stanco. Le fatiche della primavera gli sono rimaste nelle gambe. Dopo appena due tappe decide di abdicare. Sarà la sua ultima comparsata sulle strade della Grande Boucle. Sceglie, infatti, di dedicare gli ormai pochi anni di carriera che gli sono rimasti alle classiche del nord. Saggia decisione, poiché giusto una stagione più tardi serve il tris alla Parigi-Roubaix.

Il 21 aprile 1935 il Bulldog diventa il secondo nella storia a iscrivere il suo nome nell’albo d’oro della Regina delle Classiche per tre volte. Prima di lui ci era riuscito solo il campionissimo transalpino Octave Lapize. Anche stavolta vi è una pioggia incessante ad accompagnarlo nella sua cavalcata trionfale. Quando l’acqua e le pietre dell’Inferno del Nord vengono a contatto, Rebry sembra come entrare in uno stato di trance agonistica. Attacca a spron battuto ogni volta che può e mette tutti quanti alle corde.

Dopo i primi fendenti, solo due atleti riescono a rimanere alla sua ruota. Uno è il connazionale Jean Aerts, prossimo al successo nel campionato del mondo. L’altro è il fuoriclasse francese André Leducq, già conquistatore di due Tour de France e della Roubaix del ’28. Resta attardato, invece, l’enfant prodige René Vietto , il quale palesa un colpo di pedale notevole, ma viene rallentato da un infingardo passaggio a livello.

Aerts, ad ogni modo, finisce molto presto la benzina. L’Inferno del Nord, così, si trasforma nel teatro di un duello all’arma bianca tra Rebry e Leducq. Il francese è il più veloce e morde la scia dello scatenato fiammingo pur di non perderla. Quando mancano quindici chilometri alla meta, una delle gomme di André è ormai a terra. Il francese non ha forato, ma deve comunque fermarsi gonfiare la ruota.

Quello stop gli sarà fatale. Bastano pochi secondi giù dalla sella, infatti, e Rebry ormai è sparito all’orizzonte. Il Bulldog, in quella ridotta porzione di tracciato rimasta, rifila quasi 2’30” a Leducq. Su queste strade e in queste giornate apocalittiche, ha semplicemente un’altra marcia. Quella sarà l’ultima grande vittoria nella carriera dell’ormai trentenne Gaston Rebry. Nel 1936 sarà terzo nella Regina delle Classiche. Perde in volata dai compagni Georges Speicher e Romain Maes.

Un’opera del figlio. ©Hodgins Art Auctions Ltd. / Halls Auction Services

Dopodiché, complici i tantissimi chilometri percorsi sin da quando era diciottenne, per Gaston inizia un rapido declino. Nel 1939 appende la bici al chiodo. Successivamente si trasferisce con la famiglia in Canada. Muore prematuramente il 3 luglio 1953 ad appena quarantotto anni. Il figlio, Gaston Rebry Jr., proverà a seguire le orme del padre in quella terra lontana al di là dell’oceano. Al contrario del genitore, però, si accorge ben presto di qual è il reale sentiero a cui è destinato. Nonostante taluni discreti risultati a livello locale, lascia perdere lo sport e si dedica all’arte. Diventerà un grande pittore, tanto che l’ex primo ministro canadese Jean Chrétien offrirà diverse sue opere ai vari presidenti e ministri degli esteri in visita nel suo paese. Un dipinto del figlio del Bulldog è stato regalato financo a Papa Giovanni Paolo II.

Tornando al padre, probabilmente senza questa ossessione per il Tour de France ora potrebbe essere il recordman di successi alla Parigi-Roubaix. È vero, da un lato, che nei suoi trionfi c’è sempre stata la buona sorte ad assisterlo. D’altro canto, però, Gaston Rebry, sulle strade dell’Inferno del Nord, ha toccato punte che nessun altro atleta del suo tempo è stato capace di avvicinare. Considerarlo un papabile al titolo di più grande specialista di sempre, al pari di Lapize, De Vlaeminck, Moser, Boonen e Cancellara è assolutamente lecito.

 

 

Foto in evidenza: ©Germán Bouso, Twitter