Nonostante la bella vita, Raffaele Di Paco ha vinto tante corse.
Toscano, rapido come un fulmine, amante di tutti i piaceri che la vita può offrire. No, questo non è un articolo su Mario Cipollini, benché l’incipit possa suggerirlo, ma su Raffaele Di Paco. Nativo di Fauglia, in provincia di Pisa, Di Paco fu un velocista superbo, attivo nel periodo appena antecedente allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Le sue numerose vittorie, però, non furono l’unico motivo per cui divenne uno dei personaggi più popolari del gruppo, in particolar modo in Francia, durante gli anni ’30 del ‘900.
Soprannominato la Saetta di Fauglia, Di Paco giù dalla bici era un autentico viveur. Gli piaceva oltremodo comprare vestiti eleganti, bere vino e frequentare belle donne. Sembrava, inoltre, che ogni tanto si concedesse anche qualche sigaretta. Il non rinunciare ai vizi in favore della carriera lo rese un atleta dal rendimento decisamente discontinuo. Alternava periodi in cui non era competitivo ad altri in cui era un autentico incubo per tutti i suoi rivali.
Benché fosse rapido come un ghepardo, comunque, Raffaele non era un velocista nella moderna accezione del termine. Lo scatto letale negli ultimi duecento metri, infatti, non era la sua unica qualità. Di Paco possedeva doti di endurance eccelse. In pista si dilettava nella madison, in prove di due o addirittura tre ore. Il tutto con ottimi risultati. Su strada, questo si traduceva nella capacità di vincere in mille modi. La Saetta di Fauglia poteva imporsi con un assolo solitario o portando via un gruppetto. Era un avversario temibile in tutte le classiche e a cronometro riusciva a insidiare gli specialisti.
Già ottimo dilettante, Di Paco inizia a correre coi professionisti, da indipendente, nel 1928. Nonostante la sua giovanissima età, non tarda molto a dare saggi del suo talento. Nella stagione seguente, infatti, è terzo sia al Giro di Lombardia che al Giro di Campania. In quest’ultima manifestazione, al tempo corsa a tappe, si impone nella terza frazione. Nel resto dell’annata, inoltre, conquista altri quattro successi.
Nel 1930 Di Paco firma il suo primo contratto con una grande squadra: la Maino. Con la nuova casacca ottiene la seconda piazza alla Roma-Napoli-Roma, la quarta alla Milano-Sanremo e vince la settima tappa del Giro d’Italia. La frazione in questione è la Salerno-Napoli di 180 chilometri. Sul traguardo del capoluogo campano, una terra nella quale la giovane Saetta di Fauglia sembra trovarsi decisamente a suo agio, brucia in volata nientemeno che un certo Learco Guerra.
La Corsa Rosa del 1931, al contrario, sarà decisamente avara di soddisfazioni. D’altronde, come detto in precedenza, Raffaele è un atleta che per tutta la carriera avrà un rendimento scostante. Un esempio di ciò ci viene proprio da quello che farà, appena due mesi più tardi, al Tour de France.
In Francia, Di Paco è un uragano. Nella prima settimana veste per tre giorni la maglia gialla. Questo gli permette di acquisire fiducia nei suoi mezzi e dal decimo giorno di gara in poi è il protagonista assoluto della corsa. Il primo successo parziale arriva nella Bagnères-de-Luchon-Perpignano di 322 chilometri. Raffaele brucia in volata l’austriaco Max Bulla e i rapidissimi francesi André Leducq e Charles Pélissier. In una frazione così lunga, le sue punte di velocità unite al suo fondo gli permettono di avere una marcia in più in un arrivo a ranghi compatti.
Si ripete immediatamente il giorno seguente, nella Perpignano-Montpellier di 164 chilometri. Va all’attacco con Charles Pélissier e lo brucia in uno sprint a due. Una settimana più tardi, nella Évian-les-Bains-Belfort di 282 chilometri, Di Paco serve il tris dopo una fuga in compagnia del tedesco Ludwig Geyer. Nella tappa numero ventuno, la Colmar-Metz 192 chilometri, il toscano torna a vincere una volata di gruppo davanti a un altro teutonico: Kurt Stöpel. Si ripete, nuovamente, complice la penalizzazione di Charles Pélissier per via di una scorrettezza, anche il dì successivo. Con cinque trionfi, la Saetta di Fauglia sarà il plurivincitore di quell’edizione della Grande Boucle insieme proprio al minore dei fratelli Pélissier.
Consacratosi come nome di spicco del panorama ciclistico internazionale, Di Paco, che alla fine del 1931 lascia la Maino per la Wolsit, si ritroverà ben presto a fare i conti con la marcatura stretta che gli riservano i rivali. Al Giro d’Italia del 1932 vince una sola tappa, la quinta, la Rimini-Teramo di 286 chilometri, e lo fa in modo decisamente inusuale per un velocista: attacca da lontano, da solo, e va al traguardo. La sua azione è estasiante e trionfa con ben 3’50” su Fabio Battesini, secondo. Pochi giorni più tardi lascerà la Corsa Rosa e inizierà a prepararsi per quel Tour de France che gli riserverà nuovamente molte gioie.
Alla Grande Boucle, infatti, la Saetta di Fauglia alza le braccia al cielo in ben quattro occasioni. Il primo centro arriva nella nona tappa, la Marsiglia-Cannes di 191 chilometri. Il toscano va in fuga con il due volte iridato Georges Ronsse e lo fulmina in volata. Replica cinque giorni più tardi, nella Aix-les-Bains-Évian-les-Bains di 204 chilometri, superando tutti in un arrivo a ranghi compatti.
Non c’è due senza tre e nella diciasettesima frazione, la Strasburgo-Metz di 165 chilometri, Di Paco disarciona nuovamente i suoi rivali in uno sprint di gruppo. La quarta e ultima affermazione arriva appena un dì più tardi, con le stesse modalità delle due precedenti, nella Metz-Charleville-Mézières di 159 chilometri. Raffaele, con nove successi in due anni al Tour de France, è sulla cresta dell’onda. In quella stessa stagione, inoltre, conquista anche il Giro della Provincia di Milano in coppia con Alfredo Binda. Dalla Wolsit, sottomarca della Legnano, viene promosso a fine anno proprio alla squadra che un giorno sarà di Gino Bartali.
Tuttavia, nel 1933 per il pisano inizia un periodo difficile. Nell’arco di un biennio cambia ben tre squadre, passando prima alla Bianchi e successivamente all’Olimpia. I risultati, però, non arrivano più. L’unico grande trionfo lo ottiene in pista, nel Prix Goullet-Fogler di Parigi, una madison di ben tre ore. Qui la Saetta di Fauglia si impone in coppia con Learco Guerra. Sono gli unici due italiani, nella storia, ad aver vinto questa manifestazione dedicata agli indimenticabili pistard Alfred Goullet e Joe Fogler.
Dopo un 1934 da dimenticare, ormai è considerato finito dai più nonostante abbia appena ventisei anni. Non ha la testa per fare il corridore, dicono. Gli piace troppo la bella vita. Con la reputazione che si è fatto, nessun sodalizio vuole più puntare su di lui. Alla fine, a dargli una chance è il commendator Umberto Dei. Egli, però, non è granché interessato al Di Paco stradista. Il suo obiettivo, infatti, è trasformare il pisano in un grande pistard.
Raffaele, ad ogni modo, partecipa comunque al Giro d’Italia del 1935. Nei primi nove giorni è quasi evanescente. Sembra il solito Di Paco degli ultimi tre anni. Nella decima tappa, però, la Bari-Napoli di 333 chilometri, la Saetta di Fauglia risorge dalle sue ceneri come l’araba fenice. In una frazione infinita, storicamente il suo terreno di caccia preferito, il pisano si lascia dietro tutti in un arrivo a ranghi compatti.
È la miccia che torna a far divampare la classe cristallina di Raffaele. Sei giorni più tardi, nella Viareggio-Genova di 172 chilometri, fulmina nuovamente tutti allo sprint. Ma non è ancora finita. Nel weekend successivo, la Saetta di Fauglia rimpingua ulteriormente il suo bottino. Trionfa sia nella penultima frazione, la Asti-Torino di 250 chilometri, sia in quella conclusiva, la Torino-Milano di 290 chilometri. In volata, quando le gare sono lunghe ed estenuanti, batterlo è un’impresa.
Alla Grande Boucle, in quella che sarà la sua ultima apparizione in terra di Francia, Di Paco dà continuità alle grandi prestazioni della Corsa Rosa. Nella terza frazione, la Charleville-Mézières-Metz di 161 chilometri, va in fuga con Gustave Danneels e Maurice Archambaud. I tre arrivano insieme al traguardo e il pisano fa ciò che gli riesce meglio: li batte col suo scatto perpetuo negli ultimi duecento metri.
Un paio di giorni più tardi, Di Paco firma una delle più grandi imprese della sua carriera: vince la cronometro di 58 chilometri che da Ginevra porta a Évian-les-Bains. La prova è teatro di uno spettacolare triello degno di quello tra il Biondo, Sentenza e Tuco. Oltre a Raffaele, gli altri due protagonisti sono il futuro recordman dell’ora, Archambaud, e il vincitore in carica del Tour de France nonché tre volte re GP delle Nazioni, Antonin Magne. Il curriculum dei tre parla chiaro, il pisano è sicuramente il meno specialista. Tuttavia, forte di una condizione celestiale, riesce a fare l’impresa. Supera per appena due secondi Tonin le Sage e per sette Maurice e porta a casa il successo. Sarà il suo ultimo trionfo nel grande giro che si svolge al di là delle Alpi.
L’avventura di Di Paco alla Grande Boucle è finita, ma la sua epopea continuerà in Italia. Nel 1936, infatti, è protagonista del miglior Giro d’Italia della sua vita. Al terzo giorno vince in volata la Genova-Montecatini di 226 chilometri. Mai, nelle stagioni precedenti, aveva impiegato così poco tempo per conquistare una frazione. Nella Napoli-Bari di 283 chilometri, la settima tappa in programma e la più lunga della prima settimana, arriva la seconda affermazione della Saetta di Fauglia.
In un Giro che vede Gino Bartali trionfare e Giuseppe Olmo alzare le braccia al cielo in ben dieci occasioni, Di Paco è l’unico degli altri atleti che riesce a ritagliarsi uno spazio consistente. Nella L’Aquila-Rieti di 117 chilometri del decimo dì arriva il successo numero tre. Ancora una volta batte tutti in un arrivo a ranghi compatti. Le vittorie del pisano diventeranno quattro e poi cinque dato che si imporrà anche nella quattordicesima frazione, la Cesenatico-Ferrara di 155 chilometri, e nella quindicesima, la Ferrara-Padova di 106 chilometri.
Il 1936, oltretutto, vede anche Raffaele imporsi nella Milano-Mantova davanti a Domenico Piemontesi e Vasco Bergamaschi. Nella stagione seguente, la Saetta di Fauglia torna alla Legnano. Su pista, a gennaio, conquista il Prix Hourlier-Comès al velodromo di Parigi. La manifestazione in questione è una madison di cento chilometri a cui il toscano prende parte insieme al giovane Aldo Bini.
Al Giro d’Italia, invece, Di Paco recita soprattutto il ruolo di gregario di Gino Bartali, aiutando il corregionale a vincere il duello contro il piemontese Giovanni Valetti. A ogni modo riesce comunque a ritagliarsi il suo spazio. Conquista in volata la Rieti-Roma di 152 chilometri, seconda semitappa dell’ottava frazione. A fine stagione, tuttavia, il quasi trentenne Di Paco torna alla corte di Umberto Dei, così da avere più spazio per sé in gara.
Una scelta saggia che gli permette di vincere altre tre tappe alla Corsa Rosa del 1938. Il primo successo arriva all’ottavo giorno, nella Roma-Napoli di 234 chilometri, ove rispolvera la tattica di portare via un drappello. Va in fuga, infatti, con Bizzi, Leoni, Ducazeau e Generati, e li folgora allo sprint. Nella decima frazione, la Lanciano-Ascoli Piceno di 149 chilometri, trionfa addirittura in solitaria precedendo il plotone di 32″. Due dì più tardi, nella Ravenna-Treviso di 199 chilometri, sfugge nuovamente dalle fauci gruppo, in compagnia di Rimoldi, Chiappini e Generati, e agguanta il successo in volata.
Ingaggiato dalla francese Michard per il 1939, al Giro non riuscirà a ripetere i fasti degli anni precedenti. Non vince nessuna tappa e si ritira dopo sedici giorni. A 31 anni e con il meglio che sembra ormai essere alle spalle, Di Paco decide di mettere un po’ da parte la strada per dedicarsi maggiormente alla pista. Quando la Seconda Guerra Mondiale scoppia, Di Paco si trova in Argentina alla Sei Giorni di Buenos Aires. Rimarrà in America Meridionale fino alla fine del conflitto globale.
In quel periodo, dopo aver colto il secondo posto nel 1939 in coppia con lo statunitense Ferdinand Grillo, vince due edizioni dell’appena citata Sei Giorni di Buenos Aires. La prima nel 1940 in tandem con il tedesco Gottfried Hürtgen e la seconda nel 1944 con il neerlandese ex recordman dell’ora Frans Slaats. Nel 1945, infine, conquista nuovamente la piazza d’onore insieme al connazionale Antonio Bertola.
Proprio con Bertola, però, si afferma, nel 1942, nella 24 ore di Santiago. Inoltre in Argentina, in quel periodo, trionfa anche in diverse competizioni su strada. Tornato nel vecchio continente, Raffaele appende la bici al chiodo e va a vivere a Parigi. Qua sposa una donna francese di origini italiane e insieme alla suocera si occupa della gestione di una fabbrica di mobili. Negli ultimi anni di vita lascia la Francia e si stabilisce nella sua Fauglia. Lo sprinter toscano si spegnerà a quasi ottantotto anni, il 21 maggio 1996, alla vigilia del primo successo di Mario Cipollini nel Giro d’Italia di quell’anno.
Vincitore, nel corso della carriera, di ventisette frazioni nei grandi giri – undici al Tour de France e sedici al Giro d’Italia -, considerando una cronosquadre conquistata nel ’37 con la Legnano, Di Paco fu anche soprannominato Il Re della Tappa. Personaggio stravagante e imprevedibile, Raffaele fu croce e delizia dei tecnici che lo seguivano. Dai colleghi, invece, nonostante i vizi era generalmente apprezzato. Uno in particolare ebbe modo di esprimere gratitudine nei suoi confronti: Gino Bartali.
Nonostante in pochi inizialmente ci credessero, dato il soggetto in questione, quasi più divo che sportivo, Raffaele fu uno dei maestri di Ginettaccio. E fu lo stesso Uomo di Ferro a riconoscerlo. La stima che il fuoriclasse toscano provava per il corregionale era infinita, a dimostrazione del fatto che si può essere grandi corridori e grandi uomini anche se si ama un po’ troppo la bella vita.
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