La momentanea incertezza di Gianni Moscon

Gianni Moscon è un corridore da classiche o da Grandi Giri?

 

I primi risultati tra i professionisti non lasciano spazio ai dubbi: Gianni Moscon è un corridore da corse di un giorno. Anzi, volendo precisare, è difficile oggi trovare un corridore così completo per le gare in linea. “Seguo Gianni da quando correva con i ragazzini  e sono sicuro che potrà diventare un super nelle corse di un giorno. Quali? Tutte.” Testi di un certo Maurizio Fondriest.
La musica invece la suona Moscon: una Parigi-Roubaix persa in volata dopo aver attaccato da lontano – ed essere anche finito a terra, giusto tributo a chi aggredisce le pietre del nord della Francia -, un 15° posto al Giro delle Fiandre, un 3° posto a Il Lombardia. Tutti ottenuti in quel magico 2017. Nel finale di stagione per qualche minuto ha fatto sobbalzare durante il Mondiale di Bergen con il contrattacco su Salmon Hill e la fuga a due con Alaphilippe che lo avvicinarono al sogno di una medaglia mondiale che da troppo tempo manca ai colori azzurri.

Senza dimenticare – partendo dalla fine – il suo 2018: protagonista di nuovo al Mondiale (5° posto) su un circuito in contrapposizione a quello norvegese e fatto su misura di uomini resistenti e completi, liegisti, scalatori o addirittura corridori da corse a tappe; il doppio successo in Italia tra Agostoni e Giro di Toscana ottenuti sfoderando armi di ogni genere, ma sempre dimostrandosi superiore alla concorrenza in salita, sul passo, allo sprint. Il tutto dopo una primavera complicata dove da uomo di punta del Team Sky sulle pietre, ha mostrato qualche lacuna a causa di una condizione mai arrivata (“Ho corso con il cuore, ma le gambe non erano al top”) soprattutto nelle fasi calde di gara non riuscendo a ottenere un risultato migliore del 21° posto al Fiandre,  dell’8° ad Harelbeke e del 12° alla Dwars door Vlanderen.

Davanti a un modello di questo genere già capace di poter primeggiare in tre Monumento su cinque e in due mondiali con percorsi diametralmente opposti ci domandiamo: ha senso forzare la mano per vederlo competitivo tra Giro, Tour e Vuelta invece di lasciarlo maturare nelle corse di un giorno dandogli la possibilità di portare a casa una grande Classica?

 

Moscon torna alle corse dopo oltre 2 mesi dalla squalifica del Tour e stavolta sbaraglia la concorrenza andando a vincere la Coppa Agostoni: è il suo quarto successo in carriera (foto ©Emanuela Sartorio – Caffé & Biciclette)

 

In molti, dopo aver capito che talento è Moscon, hanno provato a districarsi nel solito gioco dei paragoni e il più azzeccato, almeno per versatilità di caratteristiche, potrebbe essere l’accostamento con Gianni Bugno.
Bugno, in un ciclismo che appartiene ad altra epoca, fu capace di vincere una Sanremo ma anche un Fiandre, di vincere un Giro e di ottenere due podi al Tour e conquistare due Campionati del Mondo, ma in realtà questo confronto poco interessa all’analisi:  serve giusto a misurare la potenzialità del corridore che abbiamo di fronte.
Nell’epoca della specializzazione esasperata dove gli uomini da Grandi Giri sono e restano uomini da Grandi Giri e difficilmente li vedremo correre – per vincere – sulle pietre, oppure per intascare bottino pieno tra Sanremo e Liegi (Nibali in questo resta l’eccezione), Gianni Moscon prova a far spiccare la sua classe su ogni terreno supportato da carattere, da un motore oltre la norma e da qualità importanti anche nell’esercizio contro il tempo.

Il Team Sky, da quando è nato, ha messo al centro del progetto i Grandi Giri finendo per trasformare pistard di fama olimpica e mondiale (Wiggins, Thomas) in vincitori del Tour, ottimi corridori (Froome) in mattatori e uomini da record e imprese, sacrificando eccellenti – quando non autentici fuoriclasse – corridori da corse di un giorno (Poels, Kwiatkowski), in gregari capaci di spianare le salite, e in ultima battuta facendo man bassa sul mercato di alcuni fra i ragazzi con il maggior potenziale per le corse a tappe: Bernal, Geoghegan Hart, Sivakov, Sosa. L’ambiente giusto per trasformare un corridore dalle basi solide come Moscon in un vincitore del Tour oppure per ridurlo a elemento e motrice utile alla causa, ma lontano dalla gloria personale.

Nei suoi tre anni da professionista Moscon ha mostrato oltre alle sopra citate qualità nelle gare in linea anche una certa attitudine per le brevi corse a tappe e che possono essere viste come un primo tassello per vederlo un giorno combattere nei GT: alla Route du Sud nel 2017 va in fuga nella tappa regina e si inchina nell’arrivo in salita solo a Pierre Rolland, resistendo all’attacco del francese sul Tourmalet e ribattendo nel finale al rientro di Carapaz, uomo più quotato quando la strada sale se non altro perché leggero in confronto a lui. L’anno prima vince con autorevolezza il Tour of Norway,  di certo non la cartina tornasole per un futuribile uomo da Giro e Tour, ma dimostrando doti da leader e guadagnandosi tappa dopo tappa la fiducia della squadra surclassando nelle gerarchie un corridore come Sergio Henao.

 


Moscon – qui in azione al Tour of Guangxi – sul finire del 2018 conquista la sua seconda breve corsa a tappe

 

Un altro mattoncino lo mette alla Vuelta del 2017; riduce a brandelli avversari e salite quando è chiamato a fare il forcing per la sua squadra, costringendo a volte anche i suoi compagni a dirgli di rallentare.“Stavo andando troppo forte e ho messo in difficoltà anche i miei compagni” e impressionando persino Froome:

“Moscon va fortissimo, è una piacevole sorpresa, per proteggermi sta facendo un lavoro infernale, in salita faccio fatica persino io a stargli a ruota”.

Finirà 13° nella tappa più importante di quella Vuelta, la penultima, sul massacrante arrivo dell’Alto dell’Angliru, dopo aver sfiorato la vittoria di tappa su un arrivo misto.
In ultima battuta le sue doti a cronometro: due volte campione italiano, ma spesso tra i migliori anche in competizioni internazionali (6° al mondiale di Bergen a 8” dal bronzo proprio di Froome e al termine di una stagione magica e logorante), fondamenta sulle quali basare un futuro per le corse a tappe.

Il matrimonio con Sky  ha vissuto di alti e bassi, ma difficilmente l’armata britannica si priverà di quello che è indubbiamente il miglior corridore italiano nato negli anni ’90. La campagna acquisti dell’ultimo biennio mirata a talenti delle corse a tappe può suonare però come un campanello d’allarme nella testa del corridore noneso e nelle sue ambizioni da corridore per le gare di tre settimane. Alla vigilia del 2019 dovrà scegliere se mantenere quella forza brutale che gli permetterà di primeggiare nelle corse di un giorno di ogni genere, oppure, partendo da un’eccellente base a cronometro, dovrà perdere un po’ di peso e lavorare nello specifico per diventare letale nelle salite dei GT, per resistere ai cambi di ritmo e ai forcing sulle salite lunghe sfidando avversari che di volta in volta potranno portare il nome di Dumoulin, Quintana, Bardet, Nibali, Aru, Thomas, Froome, Roglic.

Senza dimenticare poi l’importanza fondamentale delle doti di recupero – tutte ancora da dimostrare – e tenendo in considerazione che un conto è correre una Vuelta (e un Tour) da gregario un altro e farlo da capitano dove a tutto si andranno a sommare anche le pressioni in gara, l’attesa nei pre e tutto il corredo di bailamme dei dopo tappa.

 

Ivan Basso è stato – prima di Nibali (e Aru) – l’ultimo grande interprete italiano delle corse a tappe. Ora si va alla spasmodica ricerca di un erede (foto © www.instants-cyclistes.fr – Flickr)

 

In Italia la narrativa intorno al ciclismo fatta da giornalisti, organizzatori, tifosi e addetti, chiede a gran voce la nascita di qualcuno capace di raccogliere l’eredità nei Grandi Giri – per restare agli ultimi anni anni – dei Basso e dei Nibali: Moscon è stato messo nel mirino. Intanto, prima di bruciare le tappe, il corridore del Team Sky nel 2019 potrebbe gustarsi le strade del Giro d’Italia dove la sua squadra deve ancora scegliere chi dirottare come capitano assoluto: Bernal, Froome, Thomas?

Moscon potrebbe arrivare sull’onda di una prima parte macinata a tutta verso quelle corse che – al momento – più gli si addicono, con il rischio concreto di logorarsi, di continuare a correre facendo il gregario di chi punterà in maniera assoluta a Giro, Tour e in ultima battuta Vuelta. E ci chiediamo: varrà proprio la pena sacrificare le corse di un giorno al Moloch dei Grandi Giri? L’incertezza verrà spazzata via solo dal tempo, anche se lui ha già deciso: “La corsa che vorrei vincere? Il Tour de France, ma non sarebbe male pure la Parigi-Roubaix”.

 

Foto in evidenza: ©Emanuela Sartorio – Caffé & Biciclette

Alessandro Autieri

Alessandro Autieri

Webmaster, Fondatore e direttore editoriale di Suiveur. Doppia di due lustri in vecchiaia i suoi compagni di viaggio e vorrebbe avere tempo per scrivere di più. Pensa che Mathieu Van der Poel e Wout Van Aert siano la cosa migliore successa al ciclismo da tanti anni a questa parte.