10 nomi da seguire al Giro d’Italia

Fughe, volate, riscatti e scommesse: l’altra faccia del Giro d’Italia 2019.

 

Quanto dura un Giro d’Italia? Tre settimane oppure ottantanove ore, quelle impiegate da Chris Froome per portare a termine l’edizione 2018. Ottantanove ore sono molte, quasi quattro giorni. La realtà effettiva, dunque, si discosta molto da quella individuale fatta di tappe perse, di impegni che si sostituiscono al Giro d’Italia e di momenti di noia che invogliano il cambio di canale o la pennichella. Quando circa centottanta corridori condividono le stesse strade e lo stesso ambiente per tre settimane oppure ottantanove ore, è impossibile concentrare l’attenzione esclusivamente sui pretendenti alla maglia rosa: ci sono giovani sulle tracce dei propri limiti, trentenni bramosi di riscatto, gregari pronti a gettarsi nel fuoco e cani sciolti in cerca di gloria. La scelta degli atleti finiti in questo pezzo non ha rispettato nessun criterio in particolare: troverete un bel po’ di patriottismo, un minimo di ragione e tanta soggettività. D’altronde, nemmeno il Giro d’Italia può sperare in una narrazione precisa e lineare: non abbiamo fatto altro che adattarci alla corsa.

Fausto Masnada

Uno dei corridori più attesi del Giro d’Italia 102. (©Emanuela Sartorio – Caffé & Biciclette)

Scegliere un corridore della Androni Giocattoli-Sidermec significa escludere gli altri sette, lasciarli sullo sfondo: una scelta apparentemente ingiusta, dato che stiamo parlando della squadra italiana di riferimento e della Professional più in forma dell’ultimo periodo. Non è un caso, però, che sia Fausto Masnada a finire in questo divertissement. Il costante miglioramento delle sue prestazioni è andato di pari passo con il crescente l’affetto riservatogli da una grossa fetta di pubblico. Il 2018 è stata la stagione in cui ha compiuto venticinque anni e un primo balzo in avanti, avanzamento che molti addetti ai lavori attendevano con trepidazione: stiamo parlando di un ragazzo che, da dilettante, ha conquistato la Firenze-Mare, il Piccolo Giro di Lombardia, il Giro del Medio Brenta e la Coppa Città di San Daniele. Il motivo classico del coraggioso attaccante ripreso nelle ultime battute di gara ha dato i suoi frutti: Masnada entrò nelle grazie di tanti tifosi italiani proprio in questo modo, quando, sul Gran Sasso, sede d’arrivo della nona tappa del Giro d’Italia 2018, venne riacciuffato a qualche chilometro dall’arrivo dopo averne trascorsi alcuni in solitaria e controvento e, più in generale, tanti nella fuga di giornata. Le due recenti vittorie parziali al Giro del Trentino testimoniano una serenità e una facilità di pedalata ammirevoli, condite da una tenacia e da uno scatto bruciante che ormai sono diventati i suoi due marchi di fabbrica. Lui ha detto di voler portare a casa almeno una frazione: considerando il momento che sta attraversando, l’obiettivo sembra alla sua portata. Per puntare alla maglia di miglior scalatore o alla classifica generale c’è ancora tempo.

Thomas De Gendt

Thomas De Gendt, sognatore.

 Il Giro d’Italia è stata la corsa che ha sotterrato il vecchio Thomas De Gendt. Dopo il terzo posto finale conquistato nel 2012, il belga non ha più saputo ripetersi a livelli così alti: la luna di miele dell’inverno successivo gli ha portato dieci chili in più mai smaltiti del tutto, ragion per cui da uomo di classifica è diventato uomo-squadra, nel senso che ora ricuce sulla fuga per la volata del proprio velocista e ora, invece, la fuga la porta via lui. L’assolo che gli valse il podio del Giro d’Italia 2012 è uno dei più spettacolari dell’ultimo decennio: accelerò in cima al Mortirolo, incrementò il vantaggio nei tratti di discesa e falsopiano e resisté scalando lo Stelvio, salita sulla quale si è allenato in diversi momenti della sua carriera, tanto da ritenere intelligente comprare una casa nella vicinanze. Le vittorie di De Gendt sono sempre prestigiose: oltre a quella del Giro d’Italia 2012, due tappe alla Parigi-Nizza, una al Giro di Svizzera, una al Delfinato, una al Giro di Romandia, una al Tour de France, una alla Vuelta a España e ben quattro alla Volta a Catalunya. Quest’anno sarà al via dei tre grandi giri e non si risparmierà in nessuno di essi. Avrà spazio a sufficienza, considerando che la Lotto Soudal non ha capitani per la classifica generale: una volta supportato Ewan nelle frazioni piatte e leggermente mosse, Campenaerts potrà giocarsi la vittoria di tappa nelle cronometro di San Marino e Verona mentre De Gendt, Hansen e Vanendert si metteranno in mostra lungo le salite. Quelle italiane sono più esigenti delle francesi, le quali hanno il merito di averci fatto conoscere il nuovo Thomas De Gendt, un corridore che a oltre trentadue anni può permettersi di scegliere il calendario e le giornate in cui andare all’attacco: solitamente c’azzecca, il margine d’errore è ridotto all’osso.

Davide Cimolai

©Davide Cimolai, Twitter

Approdato alla Israel Cycling Academy in seguito ad un burrascoso divorzio dalla Groupama-FDJ, Davide Cimolai non ha mai nascosto le sue ambizioni: voler disputare la stagione migliore della sua carriera. Nel 2019 non ha ancora vinto, ma i risultati sono incoraggianti: secondo dietro ad Alaphilippe nella tappa di Jesi della Tirreno-Adriatico, a ridosso dei migliori nella Milano-Sanremo, due frazioni e la classifica generale alla Vuelta a Castilla y León e il quarto posto alla Eschborn-Frankfurt dietro ad Ackermann, Degenkolb e Kristoff. Nell’intervista concessaci qualche settimana fa, Cimolai è stato chiaro: le volate di gruppo gli fanno paura, anche per questo difetta della malizia e dell’incoscienza necessarie che servono in frangenti del genere (alla Eschborn-Frankfurt, tanto per dire, non ha opposto la benché minima resistenza al tentativo di Ackermann di sorpassarlo dal lato delle transenne); difficilmente lo vedremo in fuga, dato che ha come compagni di squadra specialisti come Plaza e Boivin e un irrequieto come Neilands; lo vedremo, dunque, nelle giornate che più gli si addicono: quelle mosse ma pedalabili, quando la vittoria sarà appannaggio di un gruppo ristretto. Nei primi dieci giorni di corsa avrà diverse chance, ad esempio subito al secondo giorno nella Bologna-Fucecchio; nelle successive due settimane, invece, rimangono soltanto tre volate a ranghi compatti, esercizio in cui Cimolai dovrà assecondare le sue sensazioni. Dopo cinque partecipazioni consecutive al Tour de France dal 2013 al 2017, Davide Cimolai debutta al Giro d’Italia. A ventinove anni e mezzo deve dimostrare di non essere soltanto un ottimo gregario: la squadra crede in lui, altrimenti non gli avrebbe dato i gradi di capitano.

Mikel Nieve

Mikel nieve sul podio di tappa al Giro d’Italia 2018. (©Claudio Bergamaschi)

A differenza di De Gendt, Mikel Nieve ha frequentato la parte nobile della classifica generale per diverse stagioni. Il miglior risultato è l’ottavo posto conquistato alla Vuelta a España 2015, ma i piazzamenti sono molti: due volte decimo al Giro d’Italia e alla Vuelta a España e, più in generale, sempre tra i primi venticinque nella graduatoria finale delle grandi corse a tappe a cui ha partecipato fin qui. Scalatore eccellente e cronoman rivedibile, Mikel Nieve ha esultato soltanto cinque volte, ma che vittorie: una alla Vuelta a España, una al Delfinato e tre al Giro d’Italia, con la maglia blu dei gran premi della montagna indossata sul podio finale di Torino al termine dell’edizione 2016. Nel 2011 trionfò sul Gardeccia, asperità conclusiva di una delle frazioni più difficili della storia recente del Giro d’Italia: duecentoventinove chilometri con Piancavallo, forcella Cibiana, Giau, Fedaia e Gardeccia, il tutto condito dal maltempo. Lo scorso anno, dopo aver scortato Simon Yates per diciannove tappe e aver assistito impotente al suo crollo, a Nieve era rimasta una sola tappa a disposizione: la Susa-Cervinia, la ventesima, puntualmente aggiunta al suo palmarès. Compirà trentacinque anni il ventisei maggio, quando il gruppo si darà battaglia nel corso dei duecentotrentadue chilometri della Ivrea-Como, frazione che chiude la seconda settimana di corsa e che, nella seconda parte, ricalca il percorso del Giro di Lombardia. Nieve è entrato nei primi dieci del Giro di Lombardia in tre occasioni, dunque non dovrebbe restare così indifferente a quelle strade. Chissà se Simon Yates concederà una giornata di libera uscita ad uno dei suoi gregari più fidati: meriterebbero sempre almeno una libera uscita dal gruppo, quelli come Mikel Nieve.

Diego Ulissi

Diego Ulissi vuole lasciare un segno in questo Giro d’Italia. (©Emanuela Sartorio – Caffé & Biciclette)

L’ennesima primavera altalenante si è abbattuta su Diego Ulissi con l’ineluttabilità di una sentenza: a meno di clamorosi ribaltoni, Ulissi non è un corridore da classiche monumento. Il terzo posto alla Freccia Vallone aveva improvvisamente riacceso il chiacchiericcio intorno al toscano, uno dei talenti più cristallini della recente storia del ciclismo italiano eppure mai in grado di togliersi di dosso i panni dell’eterna promessa. Il trentanovesimo posto della Liegi-Bastogne-Liegi non ha fatto altro che confermare quanto abbiamo detto qualche riga fa: nelle oltre venti classiche monumento alle quali ha preso parte, Ulissi ha sempre steccato, tenendo conto che il miglior piazzamento è il ventesimo posto colto alla Liegi-Bastogne-Liegi 2013. E allora perché Diego Ulissi figura in questa lista? Perché non tutti sono capaci di mantenere le aspettative, ed è esagerato bollare come bolliti coloro che, fino a prova contraria, rimangono dei buoni corridori. Ulissi è pur sempre quell’atleta capace di trionfare alla Milano-Torino, al Giro dell’Emilia, al Gran Prix di Montréal, al Gran Premio di Camaiore, alla Coppa Sabatini e di centrare una tappa al Giro di Svizzera e addirittura sei al Giro d’Italia. Di tappe a disposizione ne ha molte, e altrettante sono le strade per provarci: scattando sull’ultima asperità, regolando un gruppo ristretto, avvantaggiandosi grazie a una fuga. L’unico capitano riconosciuto della UAE è Fernando Gaviria: gli altri sono alle sue dipendenze nelle frazioni veloci e liberi di provarci nei giorni restanti. Se Ulissi mollasse definitivamente sogni troppo ingombranti, potrebbe scoprire che ad accontentarsi è ancora in tempo e che talvolta accontentarsi significa salvare un’esistenza.

Pavel Sivakov

Pavel Sivakov
Pavel Sivakov dopo la vittoria al Tour of the Alps. (©Claudio Bergamaschi)

Chi non lo conosce si abitui al suo nome. Quanto fatto vedere nelle categorie giovanili potrebbe essere solo un assaggio di un corridore che attorno a sé condensa speranze e pressioni da futuro vincitore dei grandi giri. L’assenza all’ultimo momento di Bernal apre la strada a lui e a Tao Geoghegan Hart, con il quale da un po’ di tempo si trova a vivere le atmosfere della strana coppia. I due si ritrovano così ad essere, in contumacia del colombiano, i capitani per la classifica del Team Ineos. Se per la maglia bianca la lotta potrebbe essere chiusa al solo nome di Miguel Ángel López, Sivakov ambisce al ruolo di sfidante e un piazzamento nei primi dieci o quindici sarebbe un risultato di spessore. Nella sua prima e finora unica corsa di tre settimane disputata, la Vuelta dello scorso anno, si è subito scontrato con la dura realtà del professionismo ritirandosi dopo una caduta, e in questo Giro sarà principalmente a caccia di esperienza. Però fare esperienza per Sivakov è diverso che per qualsiasi altro corridore: il russo porta i segni del predestinato. Ha indole da attaccante e in salita va forte e il Team Ineos, ritrovatosi senza capitano all’improvviso, potrebbe anche cambiare registro nel modo di correre e sganciare a turno i suoi talenti (non dimentichiamoci la presenza di Iván Ramiro Sosa, uno dei migliori scalatori del panorama mondiale) per provare a far saltare il banco o più semplicemente accendere e tenere viva la fiamma della corsa. Agli antipodi di quello a cui ci ha abituati il vecchio Team Sky. È solo un’illusione? Il novero dei giovani da seguire a caccia di esperienza, classifica o fughe lo si allarga citando anche il classe ’97 Conci, a suo agio nei percorsi impegnativi e dotato di spunto veloce, Carboni (classe ’95), riferimento per la classifica della Bardiani, e il suo coetaneo Bagioli, uomo da fuga in casa Nippo Fantini.

Elia Viviani

Elia Viviani punta alla maglia ciclamino nonostante un percorso esigente negli ultimi dieci giorni di gara. (©filip bossuyt, Wikimedia Commons)

Viviani ambisce alla maglia ciclamino e allo scettro di miglior velocista. Contro di lui Gaviria, Ackermann, Ewan, Démare, un quintetto che rappresenta il meglio o quasi dello sprint mondiale (mancheranno Groenewegen e Bennett e se vogliamo allargare il campo mettiamoci dentro anche Kristoff). A battagliare con loro su traguardi più o meno complicati: Nizzolo, Mareczko, Belletti, Modolo, Lonardi, Debusschere, Lobato, Cima, Gibbons, Cimolai, Sbaragli e Moschetti, il quale merita una menzione particolare. Il classe ’96 sembrava non dovesse fare il Giro, viene promosso dopo una brillante primavera e rappresenta il futuro del ciclismo italiano per le volate anche su arrivi più impegnativi: obiettivo chiudere tra i primi cinque qualche tappa. Viviani, dopo le quattro vittorie dello scorso anno, vorrebbe far brillare il suo tricolore da subito, sfruttando anche la presenza d’una squadra che per molte tappe sarà devota ai suoi watt in volata. Arriva non al meglio dopo un inizio di stagione in salsa agrodolce e con un malanno alla vigilia. Le possibilità per i velocisti nei primi undici giorni di gara saranno almeno sei o sette. Viviani avrebbe voluto una conclusione finale a Verona con un arrivo di gruppo e non con la cronometro, ma saprà accontentarsi, anche se il percorso (una sola tappa per velocisti negli ultimi dieci giorni) potrebbe fargli alzare bandiera bianca nella seconda metà di Giro, se non dovesse ritrovarsi in lotta per la maglia ciclamino.

Rafał Majka

Rafał Majka è un outsider di lusso anche per i piani alti della classifica. (©Emanuela Sartorio – Caffè & Biciclette)

Il polacco della BORA-hansgrohe nelle ultime settimane sembra di nuovo aver rimesso vicino tutti gli elementi che qualche stagione fa gli permettevano di andare a segno con fughe da lontano al Tour, con tanto di maglia a pois, di chiudere tra i primi dieci per ben tre volte il Giro (settimo, sesto e quinto) e di raccogliere anche un podio alla Vuelta. Prestazioni che avevano come denominatore comune le tappe di montagna: salite, pendenza, fondo, fatica. Lunatico quanto basta per non inserirlo tra i pretendenti alla classifica generale, ma da temere in maniera assoluta quando la strada sale, Majka è un pedalatore sopraffino quando decide di stare sul pezzo: il problema è che spesso la testa e le gambe non vanno di comune accordo. In questo Giro sarà uno dei nomi da seguire per la lotta alla maglia dei gran premi della montagna e per le lunghe fughe nei tapponi, sempre che non si svegli bene per tre settimane e in quel caso occhio anche a lui per un posto nei piani alti della classifica generale. A lottare come lui ci saranno Cattaneo, il già citato Masnada, Sosa, Polanc, Navarro o Vuillermoz, tutti corridori al via del Giro per lasciare il segno: tappe, maglia dei gran premi della montagna o una buona classifica.

Carlos Alberto Betancur

Carlos Alberto Betancur cerca il riscatto. (©Emanuela Sartorio – Caffè & Biciclette)

Personaggio in cerca d’autore e troppo spesso in cerca di se stesso. Corridore che sfiora il surreale, capace di tutto e niente. Te lo ritrovi in sovrappeso oppure svogliato e con la testa altrove. Poi all’improvviso la bussola lo riporta nel posto giusto ed eccolo chiudere una Liegi-Bastogne-Liegi dura e funestata dal maltempo nel gruppo dei migliori (quindicesimo posto finale), con buoni piazzamenti anche al Tour de Romandie (undicesimo posto in classifica, ottavo nel breve prologo). Il suo inizio 2019 è passato all’inseguimento della condizione migliore, poi si è sbloccato in una corsa in linea in Spagna che lo ha riportato al successo dopo tre stagioni. A ventidue anni fu capace di vincere un Giro dell’Emilia, a ventiquattro di chiudere quinto al Giro con tanto di classifica del miglior giovane, finendo dietro Nibali, Urán, Evans e Scarponi. In quel 2013 arrivò pure quarto alla Liegi subito in scia a Dan Martin, Purito Rodríguez e Valverde. Si è perso per diverse stagioni e ora sembra essersi ritrovato o almeno questa è la speranza per un corridore ritenuto il più completo e talentuoso tra i colombiani della sua generazione. Si difende in salita, ha spunto veloce, sugli arrivi che tirano all’insù e sui percorsi misti potrebbe diventare uomo da battere. Di certo lui rappresenta l’emblema di chi a questo Giro cerco il rilancio: come Chaves per le grandi montagne, Modolo per le volate, Battaglin per le tappe mosse, Canola con l’obiettivo di vincere una tappa, provare a indossare la Maglia Rosa nella prima settimana e strappare un contratto in una World Tour per il 2020, Conti e Brambilla per lasciare il segno in qualche bella fuga.

Giulio Ciccone

Giulio Ciccone spera di vestire nuovamente la maglia azzurra, stavolta fino alla fine del Giro d’Italia. (©bicifoto.it)

Il suo approccio nel World Tour lascia ben sperare per il presente e il futuro di uno dei corridori più talentuosi del ciclismo italiano, capace a soli ventuno anni di conquistare una tappa al Giro d’Italia, dopo una lunga fuga, in una frazione dal chilometraggio e dall’altimetria importante. Tagliatissimo per percorsi mossi e sul punto di fare il salto di qualità, Ciccone ha visto la sua carriera subire una brusca frenata per un serio problema di salute. Nel 2018 è tornato di prepotenza a far parlare di sé, disputando un ottimo Giro d’Italia, oramai suo giardino di casa, e ricevendo la chiamata della Trek-Segafredo. Il suo arrivo nel World Tour è coinciso anche con una bella vittoria a inizio stagione in Francia dimostrando, oltre che attitudine sui terreni impegnativi, anche un discreto spunto veloce. È arrivato un esordio da non buttare via sulle Ardenne e poi la convocazione per il Giro d’Italia. In questa edizione della corsa Rosa, Ciccone dovrà dare una mano a Mollema in salita, certo, ma crediamo che, vista la sua indole da attaccante, lo vedremo spesso e volentieri provare a inseguire quella tappa sfuggitagli per poco lo scorso anno. Sarà un probabile obiettivo anche la maglia del miglior scalatore, anche quella mancata di poco lo scorso anno, battuto solo da un Froome scatenato sulle salite, dallo Zoncolan in poi. Tra gli altri corridori rampanti a questo giro all’inseguimento di successi parziali, da segnalare il tedesco Denz, bravo su tutti i terreni e con indole da attaccante, Vendrame, protagonista di un’eccellente primavera francese, e a proposito di francesi citiamo Gallopin, che ha vinto una tappa al Tour e una alla Vuelta e vuole aggiungere un pezzo italiano alla sua collezione, e Valentin Madouas, in crescita in questo 2019, che andrà alla caccia di gioie personali dopo essersi messo al servizio di Démare nella prima parte di Giro.

 

Foto in evidenza: ©Aivlis Photography