Francesco Camusso, il Camoscio di Cumiana

Tra Binda, Guerra e Bartali, Francesco Camusso ha saputo affermarsi alla grande.

 

 

Avere caratteristiche di scalatore puro, per un corridore, è croce e delizia. Da un lato il grimpeur è colui che i tifosi amano poiché incendia le strade con le sue azioni in salita. Dall’altro, però, questa tipologia di atleti è in grado di puntare solo a pochi traguardi. Inoltre, i grandi giri, ovvero gli obiettivi di maggior pregio che essi possono mettere nel mirino, sono diventati decisamente più complessi da vincere da quando nei loro tracciati sono state inserite le cronometro.

Le prove contro il tempo, nei percorsi di Giro d’Italia e Tour de France, fanno la loro comparsa attorno alla metà degli anni ’30. In questo stesso periodo storico, inoltre, gli abbuoni che vengono assegnati ai vincitori di tappa sono sovente molto sostanziosi. Questo per favorire taluni idoli nazionalpopolari del tempo, come i francesi André Leducq e Charles Pélissier e l’azzurro Learco Guerra, che allo sprint erano veloci come saette.

È in questo contesto così ostile ai grimpeur che il ciclismo azzurro sfornò uno dei migliori scalatori della sua storia: Francesco Camusso. Soprannominato Cichìn, ma anche il Camoscio di Cumiana, Camusso fu una vera e propria spina nel fianco per i grandi della prima metà degli anni ’30. Aveva meno frecce in faretra rispetto ai corridori più completi, ma quando la strada saliva faceva provare loro le pene dell’inferno.

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Cichìn nasce il 9 marzo 1908 a Cumiana, in quell’hinterland torinese che, al tempo, sfornava talenti a raffica. Nel 1929 passa professionista con la Gloria-Hutchinson. I primi risultati degni di nota, però, arrivano nella stagione seguente. In quell’annata Camusso vince la Milano-Savona e la Coppa Martini & Rossi. Inoltre, si piazza al secondo posto al Campionato Italiano degli indipendenti.

Sempre nel 1930, oltretutto, fa il suo esordio al Giro d’Italia. Non è protagonista di una prestazione memorabile, ma riesce comunque a mettersi in evidenza. Nella Catanzaro-Cosenza di 119 chilometri, che prevede l’ascesa dell’Acquabona, attacca con il futuro compagno Domenico Piemontesi. I due sfuggono alle grinfie del plotone e vanno a giocarsi il successo allo sprint. Il Camoscio di Cumiana, più lento, dovrà accontentarsi del secondo posto.

Il torinese otterrà altri due piazzamenti tra i primi dieci di giornata in quell’edizione della Corsa Rosa. In salita Camusso, tra l’altro, nonostante abbia solo ventidue anni, dimostra d’essere già uno dei più brillanti grimpeur del plotone. Non conclude la gara: si ritira, infatti, a un giorno dalla fine. Tuttavia, dopo quest’esperienza, Cichìn capisce che nel suo destino ci sono le corse a tappe e un anno più tardi si ripresenta al Giro con un obiettivo: vincere.

Il grande giro nostrano, nel 1931, è ricco come non mai di colpi di scena. Il percorso è su misura per Learco Guerra, il “superuomo” che tanto piaceva alla propaganda del partito fascista. La Locomotiva Umana conquista le prime due frazioni e vesta la prima maglia rosa della storia. Nella terza, però, l’aspra Ravenna-Macerata di 288 chilometri, va in crisi. La stampa dirà che la causa sono dei fastidiosi problemi di stomaco. Ma quel giorno si scalano diverse erte, incluso il Passo della Scheggia e il Colle di Fossato. E Learco, si sa, non ha in gran simpatia i tracciati tortuosi.

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La scintillante maglia rosa, così, scivola sulle spalle del vincitore di giornata: Alfredo Binda. L’immenso campione cittigliese è decisamente meno gradito sia al partito fascista che agli organizzatori del Giro. Non a caso l’anno prima lo avevano pagato per non partecipare. Il Trombettiere inizia a imporre il suo dominio, ma la dea bendata interviene per interrompere il suo monologo. Nella Napoli-Roma di 256 chilometri, sesta frazione della gara, Binda frana rovinosamente a terra nei pressi dell’ippodromo di Villa Glori. Riuscirà a finire la tappa, ma il dì successivo si ritira per via dei forti dolori alla schiena.

In testa alla classifica, allora, balza Michele Mara. All’indomani, però, va in onda la Roma-Perugia di 247 chilometri, la quale prevede la scalata al Passo della Somma. Learco Guerra vince in solitaria. Secondo, a trentasei secondi, arriva un Francesco Camusso fino a quel punto quasi invisibile. Alle spalle di Cichìn, invece, giunge un quartetto di cui fanno parte il vincitore uscente, Luigi Marchisio, e il secondo classificato dell’edizione precedente, Luigi Giacobbe.

Marchisio detronizza Mara, ma anche per lui la gioia è effimera. Nell’ottava frazione, la Perugia-Montecatini di 246 chilometri, Learco Guerra si inventa un numero dei suoi. La Locomotiva Umana, che in quella stagione vincerà il titolo iridato che in via del tutto eccezionale viene assegnato in una prova a cronometro, attacca in un tratto in discesa e fa il vuoto. Il mantovano arriva solo al traguardo e fa tappa e maglia.

La graduatoria generale, a fine giornata, dice primo Guerra, secondo Marchisio a quattordici secondi, terzo Giacobbe a quarantadue secondi, quarto Mara a quarantasei. E il Camoscio di Cumiana? È sesto a un minuto e cinquantadue, preceduto di una cinquantina di secondi anche da Eugenio Gestri. Mancano quattro giorni alla fine della manifestazione e può ancora succedere qualunque cosa.

Learco Guerra. ©VeloNews.com

Diciamo, però, che quello che accade nella nona frazione non era proprio pronosticabile. Guerra cade anch’egli e si ritira proprio come Binda. Leggenda vuole che il buon Learco sia stato letteralmente travolta da un’appassionata, diversamente sobria, che voleva ricoprire di amorevoli bacetti il suo visino da attore. La rosa, sempre più nomade, torna dunque sulle spalle di Marchisio.

Luigi, però, passa indenne giusto quella frazione. In questa sceneggiatura da Oscar, nella decima tappa, la Genova-Cuneo di 263 chilometri, entra in scena un altro elemento destabilizzante: la neve. Già di per sé la giornata in programma è devastante. Si scalano il Passo della Bocchetta, il Colle del Giovo, il Colle di Cadibona e il Colle di Tenda. È proprio su quest’ultima ascesa che il freddo falcia le speranze del vincitore uscente. Marchisio crolla sotto i colpi di uno scatenato Giacobbe e cede quasi tre minuti al rivale. Per l’altro Luigi è tappa e maglia.

Solo Camusso e Aristide Cavallini, che perdono dieci secondi dal primo, limitano i danni. A due dì dal termine della Corsa Rosa, Cichìn, il quale fino a questo momento è rimasto fermo a fissare le sue prede come un astuto cane da caccia, occupa la seconda posizione della generale a due minuti e venti da Giacobbe.

In questo Giro pieno zeppo di colpi di scena mancava il colpo d’arguzia. Nella penultima frazione, la Cuneo-Torino di 252 chilometri, il plotone affronta il Sestriere. È l’ultimo scoglio tra Giacobbe e il successo finale. E Luigi si infrangerà su quell’erta infinita come il Titanic contro l’iceberg. Ormai è sicuro del trionfo e non presta troppa attenzione al fatto che Camusso, a un certo punto della frazione, si fermi per non meglio precisati motivi. Ignora totalmente cosa stia facendo e non fa alzare il ritmo alla sua squadra per mettere in difficoltà il rivale.

Ai piedi del Sestriere tutti i corridori si fermano in massa. Stanno cambiando il rapporto. All’epoca ce n’erano solo due: uno da pianura e uno da salita. Ce n’è uno, però, che prosegue dritto per la sua strada mentre tutto gli altri effettuano la sosta. È colui che in quest’infinita e contorta commedia recita il ruolo di quello furbo. È Francesco Camusso, il Camoscio di Cumiana, e il rapporto l’aveva sostituito mentre faceva quel bizzarro pit stop qualche chilometro prima.

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Giacobbe resta di sasso quando vede quella scena. L’ingegno, però, non basta. Per vincere servono le gambe. E quando la strada s’inerpica, Camusso è un drago sputafuoco. Proprio come un camoscio, l’animale a cui è stato accostato, il torinese si arrampica tra un tornante e l’altro. Sale con una frequenza di pedalata altissima e dietro di sé lascia solo la polvere. Allo scollinamento ha circa due minuti e mezzo sui suoi primi inseguitori: Giacobbe, Marchisio, Felice Gremo e Antonio Pesenti.

Già leader virtuale, dà il colpo di grazia ai rivali con una discesa da funambolo. Cichìn si butta giù a tomba aperta su quelle strade che, ovviamente, conosce alla perfezione e il margine si dilata ulteriormente. Vince con tre minuti e dieci secondi sul quartetto sopraccitato. La frazione conclusiva, la Torino-Milano, è pura formalità. Dopo otto cambi di maglia, è il Camoscio di Cumiana a uscire trionfatore da quella baraonda rosa.

La stampa è subito pronta sminuire il successo di quest’astuto semisconosciuto. “È un carneade che ha vinto solo perché si sono ritirati Binda e Guerra“, sentenzieranno. Assunto vero a metà: Binda sarebbe stato un rivale davvero ostico, ma Guerra è un atleta con dei punti deboli. Al momento del forfait, il suo vantaggio su Cichìn non raggiungeva neanche i due minuti. E inseguire il Camoscio di Cumiana sul Colle di Tenda o sul Sestriere sarebbe stata impresa complessa per lui.

Il vincitore del Giro, ad ogni modo, dimostrerà di non essere un bolide agostano già nel prosieguo di stagione. Arriva secondo sia alla Tre Valli Varesine che al Giro di Campania. In quest’ultimo, inoltre, conquista una frazione. Cichìn non è solo scaltro come una volpe, ma è anche un grimpeur favoloso. Accende le salite con scatti incandescenti, ma allo stesso tempo mantiene la mente fredda come quella di un giocatore di scacchi.

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Nel 1932 torna al Giro, ma è costretto a ritirarsi dopo appena una settimana. Sarà allora il Tour de France il teatro ove dimostrerà, una volta per tutte, d’essere un campione. La Grande Boucle è ancora più adatta, come gara, al Camoscio di Cumiana. Ci sono più salite e la manifestazione dura oltre venti giorni. Anche in Francia, però, non resistono all’impulso di strendere il tappeto rosso all’idolo nazionalpopolare di turno. In quell’edizione si assegnano ben quattro minuti di abbuono al vincitore di tappa. Una pensata che doveva favorire Charles Pélissier, ma finirà per far cadere la Grande Boucle tra le braccia di André Leducq. Poco male, pensano i cugini d’oltralpe, sempre di un galletto si tratta.

Chi ne fa le spese, per primo, è il tedesco Kurt Stoepel. Conclude la gara praticamente con lo stesso tempo di Dedé, ma vince una sola frazione contre le sei del francese. Ma quell’astruso regolamento penalizza fortemente anche Cichìn. In quella Grande Boucle, dopo quattro giorni tranquilli, il plotone affronta la Pau-Bagnères-de-Luchon di 229 chilometri. Si scalano l’Aubisque e il Tourmalet. Camusso e il connazionale e vincitore del Giro Antonio Pesenti spadroneggiano in salita. Il loro passo lo tiene solo il francese Benoît Faure. Alla fine vince il Gatto di Zogno, il meno fermo in volata. Leducq e Stoepel arrivano il primo a tre minuti e cinquantatré secondi e il secondo a poco più di quattro minuti.

Quando, sei giorni più tardi, si torna ad affrontare un tracciato impegnativo, nella frazione che da Cannes va a Nizza, Camusso mette su uno spettacolo. Sui colli che circondano la cittadina della Costa Azzurra, il Camoscio di Cumiana spazza via tutti gli altri concorrenti. Vince in solitaria con un minuto e diciotto secondi sul connazionale Luigi Barral. Luigi Marchisio conclude al terzo posto, a un primo e venti, completando la festa azzurra. Stoepel perde due minuti e trentotto, Leducq addirittura cinque e mezzo.

L’azzurro chiuderà la corsa al terzo posto, a ventisei minuti e ventuno secondi da Leducq. Un podio che fa piazza pulita dei dubbi che c’erano attorno a Camusso. Il successo al Giro del 1931 non è stato un caso. Cichìn è uno scalatore eccelso e nelle corse a tappe è un eccellenza. Un altro saggio della sua classe lo dà nel 1933, nella prima edizione della Parigi-Nizza. Conquista nuovamente una tappa che da Cannes va a Nizza e anche in questo caso stacca tutti sulle erte della Costa Azzurra. Conclude la gara al sesto posto, unico risultato degno di nota di una stagione sfortunata, nella quale non porta a termine né Giro né Tour.

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Il pronto riscatto, però, arriva nel 1934. La stagione, per Cichìn, parte alla grande. Alla Milano-Sanremo ottiene un terzo posto. È il suo miglior piazzamento in carriera nella Classicissima. Dopodiché, Camusso prende parte al Giro d’Italia e nella prima frazione, tra le strade milanesi, mette nel sacco i velocisti. Il torinese anticipa la volata con una stoccata d’autore e fa tappa e maglia.

Nei giorni successivi, però, sale in cattedra Learco Guerra. La Locomotiva Umana vince prima due frazioni in linea e poi s’impone anche nella quarta tappa, una cronometro di quarantacinque chilometri che da Livorno porta a Pisa. Cichìn, ad ogni modo, si difende molto bene. Arriva, infatti, ottavo a due minuti dal mantovano. Learco, in seguito, fa incetta di trionfi parziali, favorito dall’ennesimo tracciato cucito dal sarto per lui.

Nell’ottavo dì, che prevede l’aspra Bari-Campobasso di 245 chilometri, la Locomotiva, però, soffre in salita sotto gli scatti di Camusso. Il Camoscio di Cumiana, che alla mattina si trovava a poco più di due minuti dal mantovano, chiude la giornata ad appena cinque secondi dal rivale nella graduatoria generale. L’estroso Giuseppe Olmo, addirittura, gli strappa la maglia rosa.

Olmo, però, crolla il giorno successivo nella Campobasso-Teramo di 283 chilometri. La frazione la vince Guerra, che si riprende l’effige del primato, regolando un gruppo di sei di cui fa parte anche Camusso. Quel giorno, Cichìn, sarà anche protagonista di un episodio sgradevole. Il torinese litiga con un poliziotto al rifornimento e arrivano alle mani. Ci vorranno tre persone per placare l’ira del grimpeur piemontese. Nel mentre uno di questi ha pure il coraggio di chiedergli: «Chi ti credi di essere? Learco Guerra?».

Per fortuna Armando Cougnet riesce a intervenire in tempo e a impedire alla polizia di portare via Cichìn. La gara prosegue e nelle tappe successive Guerra continua a imporre il suo dominio, vincendo sprint dopo sprint e conquistando svariati abbuoni. Lunedì 4 giugno, però, va in onda la Firenze-Bologna di 120 chilometri. È breve, ma molto dura. Prevede le scalate del Passo della Futa e del Passo della Raticosa. Sulla prima ascesa il Camoscio di Cumiana scatta con Olmo e Guerra crolla.

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Learco, demolito nello spirito e nel corpo dalle rasoiate di Camusso, scende dalla bici e sale nell’ammiraglia Maino. Ha deciso di ritirarsi. Cougnet, però, riesce a convincerlo a ripartire. La Locomotiva Umana conclude a cinque minuti e ventidue secondi da Camusso. Per lui non ci sarà nessuna penalizzazione, nonostante sembra proprio che abbia percorso un tratto di gara in auto. Troppo popolare, gli organizzatori non vogliono esporsi alle feroci proteste dei suoi tifosi. Cichìn, nel mentre, si riappropria della maglia rosa e ora guida la classifica con due minuti e cinquantacinque secondi di margine su Guerra.

La situazione, però, si ribalta nuovamente all’indomani. Il plotone affronta una lunga cronometro di cinquanta chilometri che da Bologna porta a Ferrara. Camusso è autore di un’ottima prestazione, si classifica al quinto posto. Guerra, però, plana letteralmente sulle strade emiliane. Vince la prova e rifila tre minuti e quarantasei secondi al rivale. Il simbolo del primato torna sulle sue spalle. La Locomotiva si difende nelle ultime due frazioni rimaste e finalmente mette le sue mani sul Giro d’Italia. Cichìn chiude sulla piazza d’onore ad appena cinquantuno secondi dal rivale.

Sulla strada Camusso si è dimostrato più forte di Guerra. Il piemontese a cronometro si era difeso meglio del mantovano in salita. Gli abbuoni e un episodio controverso, però, gli hanno portato via una vittoria che aveva mostrato di meritare. Al tempo l’Italia impazzì per il successo del suo idolo, avvenuto peraltro in contemporanea con il trionfo azzurro ai Mondiali di calcio (il Giro si conclude nello stesso giorno in cui si gioca la finale). Oggi, tuttavia, possiamo tranquillamente dire che era il Camoscio di Cumiana l’atleta che s’era rivelato realmente degno d’inserire il suo nome nell’albo d’oro della Corsa Rosa.

L’annata di Cichìn, a ogni modo, continuerà in maniera eccellente. Al Giro di Svizzera, ad agosto, domina l’aspra Davos-Lugano. Stacca tutti in salita e si impone con oltre tre minuti sul secondo, il padrone di casa Paul Egli. Concluderà la gara al terzo posto della classifica generale. Inoltre, conquista anche la maglia degli scalatori. Nel mesi seguenti, invece, arriva terzo al Giro della Provincia di Milano e sesto al Giro di Lombardia.

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Nel 1935 Camusso lascia la Gloria per la Legnano. Non sarà un’annata fortunata: è costretto al ritiro sia al Giro che al Tour. Alla Grande Boucle, tuttavia, riuscirà a lasciare il segno. Conquista la settima tappa, la Aix-les-Bains-Grenoble di 229 chilometri. Quel dì si scalano Télégraphe, Galibier e Lautaret. Cichìn si esibisce in una cavalcata degna di chi è soprannominato Camoscio. Fa semplicemente un altro sport rispetto alla concorrenza. Ambrogio Morelli e Gabriel Ruozzi giungono al traguardo con tre minuti e quarantotto secondi di ritardo dal piemontese. Vasco Bergamaschi e la maglia gialla Romain Maes fermano il cronometro a nove minuti e cinquantasette. Tutti gli altri subiscono un passivo superiore ai tredici primi.

Cichìn sfiora il bis due dì più tardi, nella Gap-Digne di 227 chilometri. Lo precede di appena sette secondi Le Roi René Vietto. Tutti gli altri contano i minuti da quel fantastico duo di grimpeur. Camusso deve abdicare quando, durante la quindicesima tappa, si scontra con un bus. In quel momento occupava la terza piazza a tredici minuti e mezzo da Romain Maes. Il podio era alla portata e sui Pirenei aveva anche qualche piccola chance di ribaltare il Tour.

Il 1936 vede sbarcare alla Legnano il giovanissimo Gino Bartali. Il toscano, come corridore, è un po’ un’evoluzione di Cichìn. È anch’egli un fantastico grimpeur, ma è abbastanza forte in volata da riuscire a vincere le gare anche se non stacca tutti. Al Giro d’Italia il Camoscio di Cumiana si mette a disposizione del giovane compagno e lo aiuta a conquistare il successo finale.

L’anno seguente, invece, passato alla Il Bertoldo, Cichìn trova Bartali come capitano al Tour de France. Al Giro, Camusso è costretto al ritiro dopo appena tre giorni. In seguito alla sfortunata Grande Boucle del 1935, la carriera del piemontese ha preso una brutta piega. Solo due piazzamenti tra i primi dieci al Giro di Lombardia rendono meno amaro un biennio deludente.

Nella gara francese, dopo una settimana, si arriva sulle Alpi. Nella Aix les Bains-Grenoble di 228 chilometri la nazionale italiana, che sugli altri terreni aveva sofferto belgi e francesi, mostra i muscoli. Non è il solo Bartali a dare spettacolo, però. Sul Télégraphe e sul Galibier, infatti, c’è un altro azzurro che si dimostra superiore ai rivali quando la strada sale: Francesco Camusso.

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Ginettaccio fa tappa e maglia. Vince con un minuto e cinquantatré secondi sul Camoscio di Cumiana. Tutti gli altri giungono a oltre due minuti e mezzo. Bartali sembra avere il successo in mano, tanto è schiacciante la sua superiorità in montagna. Due giorni più tardi, però, cade nelle acque gelide di un torrente. Rimedia alcune costole fratturate e una bronchite. Prova a continuare la gara, ma sarà costretto a dare forfait.

Tocca a Cichìn prendere in mano le redini della squadra. Il piemontese, però, ha perso molto tempo proprio per scortare Bartali in seguito al suo incidente. In classifica, dopo le prime dieci frazioni, è fuori dai dieci. Vi entra, però, nella prima semitappa del tredicesimo dì, la Montpellier-Narbona di 103 chilometri. Si produce in una lunga fuga solitaria e arriva solo e a braccia alzate al traguardo. Un gruppo che sonnecchia lascia sul piatto oltre otto minuti.

Sui Pirenei Camusso si dimostra nuovamente al livello dei più forti e migliora ulteriormente la sua posizione in classifica. Alla fine chiude la gara al quarto posto, ad appena quaranta secondi dal terzo classificato, l’elvetico Leo Amberg. Sarà il canto del cigno per il Camoscio di Cumiana. L’anno seguente torna alla Gloria e dopo un’annata non esaltante che lo vede vincere solo la Nice-Mont Agel, gara con arrivo in salita che all’epoca godeva anche di un certo prestigio, decide di appendere la bici al chiodo. Il torinese, nel 1938, ha appena trent’anni, ma evidentemente sente che ormai il meglio è alle spalle.

Dopo la sua epopea come corridore, Camusso aprirà un negozio di articoli sportivi a Torino. Vivrà una vita lunga e morirà all’età di ottantasette anni il 23 giugno 1995. Di lui, ormai, nell’immaginario collettivo è rimasto poco, schiacciato tra la popolarità di Guerra e quella di Bartali. Eppure Cichìn è stato un vero campione. Se Ginettaccio e Pantani sono considerati, giustamente, i più grandi grimpeur nella storia del pedale azzurro, il Camoscio di Cumiana è, insieme a un altro grande dimenticato quale Imerio Massignan, il più forte scalatore puro nostrano di cui non si parla mai.

 

 

Foto in evidenza: ©Herbie Sykes, Twitter