Partito dalla Cassubia, Szymon Sajnok ha scoperto l’arte e il ciclismo.

 

 

Parlare una lingua e non possedere uno stato. Avere solide basi culturali ed etnografiche, ma essere assimilati a una nazione più grande. Possedere una tradizione millenaria, ma venire per gran parte integrati a una realtà più affermata e potente.

La Cassubia (o Casciubia) oggi fa parte della Polonia, ma Polonia propriamente non è. Oggi la Cassubia ha all’incirca più di centomila parlanti, ma solo il 7,6% di essi si riconosce come d’autentica origine casciuba. In Cassubia i primi insediamenti risalgono a circa 1500 anni fa, ma addirittura dal 1929 la bandiera di questa realtà non può più essere esposta pubblicamente. Nonostante questo, anche se ignota a tanti, oggi la Cassubia continua ad esistere.

Pur subendo invasioni e scorribande straniere nell’arco dei secoli, il lascito di questo popolo di origine slava che ha nella singolarità della propria lingua uno dei suoi principali caratteri distintivi è ancora visibile in un’ampia zona del territorio polacco. L’anima casciuba, tra pressioni germaniche e polacche, è sopravvissuta soprattutto grazie a quelle attività e a quelle tradizioni che per anni hanno consentito alla gente di questa etnia di distinguersi e farsi un nome. Fra queste, su tutte, spicca l’arte del ricamo.

©CCC Team, Twitter

A partire dal XIII secolo e dai lavori realizzati dalle sorelle norbertine presso la scuola di Żukowo (la prima dedicata a questa mansione), il ricamo casciubo è stato sempre più apprezzato e col tempo è andato affinandosi attraverso la creazione di altri istituti specializzati che, in maniera personale, hanno poi intrapreso strade differenti reinterpretando i dettami della tradizione.

Facendo riferimento a questi ultimi si può vedere allora come la principale fonte d’ispirazione dei ricami casciubi fosse la natura circostante (insetti e fiori sono i soggetti più ricorrenti) declinata attraverso cinque colorazioni principali, ognuna con una precisa simbologia: il blu (in tre tonalità diverse a rappresentare il cielo, i laghi e il mare della regione), il giallo (a indicare il sole e la tonalità dei cereali che riempivano i campi), il verde (tipico delle foreste), il rosso (riferimento al cuore e al sangue che ogni abitante casciubo avrebbe versato per proteggere la propria terra) e infine il nero (colore del suolo e della terra florida).

Verde, giallo, nero, blu e rosso quindi sono colori che ogni fiera persona legata alla Cassubia in qualche modo porta dentro di sé. Sa che appartengono al proprio background e sa essere rappresentativi della propria identità perché simboli cromatici di una terra in cui ha trovato rifugio, stabilità, sostentamento e riconoscibilità.

È difficile, però, che Szymon Sajnok pensasse a tutto questo sul gradino più alto del podio dei Mondiali su pista di Apeldoorn nel 2018, mentre riceveva una maglia bianca – quella di campione del mondo – con gli stessi colori “ricamati”. È difficile che la gioia e l’emozione per aver conquistato la medaglia d’oro nell’Omnium gli abbiano permesso a caldo di riflettere sul significato che potesse avere quella fascia multicolore contenente le tonalità più care della sua terra natia, che dopo grembiuli e tovaglie nel passato in quel momento risplendevano anche su quella casacca così rappresentativa.

È quasi come se, vedendolo con un nuovo abito addosso, la sua anima casciuba per scherzo avesse deciso di materializzarsi e dipingere apposta con le tinte più appropriate la divisa che il ragazzo di Kartuzy (uno dei centri più importanti della Cassubia) avrebbe poi sfoggiato in pista per un anno intero nelle successive competizioni in giro per il mondo.

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Che si trattasse o meno di un cromatico caso del destino, nelle dichiarazioni a freddo successive alla sua più importante conquista ottenuta in sella a una bicicletta Szymon ha tenuto a rimarcare quanto fosse legato e riconoscente a una terra «dalle magnifiche tradizioni, dai campi stupendi e con bellissime persone», dicendosi «orgoglioso di essere nato e potersi allenare lì».

«Anche se ho studiato la lingua da giovane imparando i testi di alcune canzoni alle elementari, oggi conosco solo alcune parole; ma la Cassubia è il mio posto. Non mi interessa cercare la fama e la popolarità, ma mi piacerebbe essere riconosciuto qui, nella mia Kartuzy. Il mio sogno, da tanto tempo, è quello di essere il volto di qualche compagnia o prodotto locale, qualcosa che provenga non da altre zone della Polonia, ma proprio da queste parti».

Per 365 giorni, proprio fino alla rassegna iridata di Prusków – in Polonia -, Sajnok è entrato nei velodromi di tutto il mondo ancora più fiero di avere quella maglia nella valigia, pronto a far brillare quei colori che, oggi come ieri, hanno qualcosa di magnetico e non passano inosservati. Per la verità, prima e dopo aver indossato quel vessillo, i colori in qualche modo hanno sempre colpito il giovane casciubo.

Tra i suoi interessi più peculiari, infatti, assieme agli scacchi (a suo dire propedeutici al ciclismo e soprattutto agli sprint per quanto concerne il «predire le mosse dei rivali» e il «prendere decisioni in anticipo sotto pressione») vi sono l’arte (tra le correnti e le opere predilette indica il surrealismo e i quadri di Salvador Dalì) e in particolare la street art, branca a cui si è avvicinato ai tempi della scuola superiore.

«Quando frequentavo il liceo a Świdnica avevo un amico che dipingeva graffiti su carta. Aveva alcuni schizzi e motivi già pronti, me ne diede uno per provare a disegnare e da quel momento ho iniziato a dipingere per conto mio, a interessarmi di più alla street art e a leggere a riguardo».

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Di recente Sajnok ha rivelato come ora, avendo minor tempo a disposizione, dipinga con meno frequenza; ma qualche volta, quando è a casa libero da impegni, si cimenta ancora nel disegno evitando, tuttavia, di andare ad intaccare (illegalmente) le strade e i muri di Kartuzy.

Questa sua inclinazione per la street art non è così inusuale in Polonia, poiché negli ultimi anni il settore è cresciuto parecchio e ha proliferato in lungo e in largo producendo numerosi esponenti di rilievo internazionale. È il caso di artisti come Natalia Rak, Seikon, Mariusz Waras aka M-city, NeSpoon e Michael Wrega (meglio noto come Sepe), tutti nati in terra polacca e tutti in grado, partendo proprio dai quartieri e dai tanti muri sguarniti delle città polacche, di spiccare il volo affermandosi e lasciando il segno anche oltre i confini nazionali.

L’obiettivo comune dei loro lavori, passando da quelli per le vie di Richmond, Oslo, Sofia, Praga e Berlino e ancora per quelle di Gdańsk, Łódź, Wrocław o Katowice, spesso è quello che Bezt (Mateusz Gapski) e Sainer (Przemek Blejzyk) degli Etam Cru (probabilmente i rappresentanti più noti dell’arte di strada polacca) hanno perfettamente sintetizzato in questo modo: «Creare delle illustrazioni in spazi pubblici che consentano a chi le guarda di prendersi una pausa dalla vita di tutti i giorni, anche solo per un momento».

Non c’è da stupirsi, dunque, se anche Sajnok ad un certo punto, seguendo l’ispirazione del suo amico, si sia avvicinato al mondo dei graffiti e dei murales, una colorata variabile sempre più presente e sempre più rintracciabile ai nostri giorni nei vari contesti urbani della Polonia. Anche a Świdnica, tappa importante della sua adolescenza, non mancano testimonianze di questo tipo. Qui, fra putti col flauto, gufi e grifoni, allontanandosi dal centro città è visibile anche un’opera dedicata a due eroi moderni del pedale, due che in sella alla bicicletta in epoche diverse hanno segnato la storia del ciclismo polacco: Józef Beker e Rafał Majka.

Il primo, ottantatré anni, ha corso negli anni ’60 trionfando al Giro di Polonia nel 1965; manifestazione vinta nel 2014 anche dal secondo, assieme tra le altre a tappe del Tour e della Vuelta, a un bronzo olimpico (a Rio de Janeiro, nel 2016) e a due maglie degli scalatori sempre alla Grande Boucle. Nato nel 1989, Majka è il più brillante rappresentante del movimento polacco su strada insieme a Kwiatkowski: ma prima di diventare professionista e lasciare il segno al livello più alto, anche lui come Sajnok è passato per Świdnica e per la Szkoła Mistrzostwa Sportowego, o più semplicemente SMS Świdnica.

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Frequentare o meno l’istituto, per Sajnok, ha rappresentato la prima decisiva scelta della vita. Come lui stesso ha ammesso successivamente, in quel momento per lui si è trattato di scegliere tra «essere o non essere», tra il puntare e investire tutto sulle proprie qualità in bici o virare invece verso un altro tipo di carriera (probabilmente quella militare). Significava sostanzialmente iniziare a ragionare da adulti, a concepire quella che era nata come semplice passione non più solo come un divertimento, ma come una possibile occupazione e una potenziale fonte di sostentamento.

Szymon aveva scoperto l’ebrezza della bicicletta a dieci anni grazie agli amici che, dopo anni a correre e giocare a pallone tra giardini e cortili, avevano deciso di iscriversi all’allora Club Podgórna (poi GKS Cartusia) di Franciszek Ilisiński, che da casa Sajnok distava meno di cento metri. Aveva iniziato in mountain bike tra sentieri sterrati, e quando i suoi amici avevano smesso lui aveva deciso di continuare, estasiato dal potere di quel cavallo a due ruote. Dopo aver preso una certa confidenza col mezzo sotto la guida di Sebastian Małecki, erano iniziate anche le prime uscite su strada, un mondo nuovo per lui che in maniera lenta e graduale lo ha portato ad abbandonare le ruote grasse e a inebriarsi sempre più con le velocità provate sull’asfalto.

A quel punto, finite le scuole medie, per Szymon è il momento di decidere: frequentare il liceo sportivo e intraprendere un percorso di studi in cui coniugare libri e allenamenti avrebbe indirizzato in maniera precisa la sua carriera e il suo futuro. Messo di fronte a quell’opzione, Sajnok punta tutto su di sé e sulle proprie possibilità in bici, una scelta – a posteriori – pienamente azzeccata.

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Accettata questa soluzione, Sajnok vive dunque con entusiasmo i suoi anni tra gli juniores, dove mette in mostra una buona propensione per le prove contro il tempo e un promettente spunto veloce. Questi due elementi lo portano nel 2015 a scoprire per la prima volta la pista: aumentando di anno in anno le presenze lungo gli anelli di tutto il mondo, Szymon arriva a limare il proprio fisico e si specializza fino a guadagnarsi le luci della ribalta grazie alla conquista di un irripetibile titolo mondiale nell’Omnium nel 2018. Prima, però, il talentuoso casciubo deve fare i conti con la laurea (conseguita nel 2016) e soprattutto con il secondo importante snodo nel suo percorso a pedali, senza il quale forse non sarebbe arrivata né la medaglia d’oro iridata né, ancor dopo, l’approdo nel World Tour.

Nel 2017, infatti, Szymon accetta la proposta del Team Attaque Gusto, una piccola squadra taiwanese registrata in Slovenia con licenza Continental. Non essendo mai venuto a contatto con una realtà del genere, e soprattutto non parlando propriamente bene l’inglese, questo passo per il polacco costituisce un vero salto nel vuoto, tant’è che proprio all’inizio della sua avventura viene effettivamente colto da un dubbio.

Accade quando Sajnok, per il primo ritrovo dell’anno, deve raggiungere la squadra in Australia, ma una serie di vicissitudini rendono il suo viaggio solitario più complicato del previsto e lo obbligano, ad un certo punto, a far scalo a Dubai senza avere certezze circa il prosieguo. È allora che, girando spaesato per un aeroporto enorme, non avendo alcun biglietto né rassicurazioni sulla possibilità di arrivare a destinazione, e soprattutto conoscendo a malapena la lingua per comunicare, il ragazzo stressato e scombussolato si chiede perché lo stia facendo. L’incertezza, per fortuna, dura solo qualche attimo, giusto il tempo che la compagnia aerea lo contatti, gli consegni il suo nuovo biglietto e con quello idealmente anche il lasciapassare verso il mondo del professionismo.

Ad aiutarlo a superare quegli attimi di stress (come poi il denso anno successivo di corse in giro per il globo), allora sono intervenute certamente la sua grande volontà interiore, ma anche al contempo quell’adattabilità che non può mancare a uno come lui che ha voglia di scoprire il pianeta e assecondare le proprie curiosità. Il desiderio di osservare «come le persone vivono in altri paesi e altri continenti», infatti, è un tratto rilevante della sua identità, che per portarlo a diventare campione del mondo a soli ventuno anni e per supportare le conseguenti pressioni e attese fa leva anche su altri fondamentali pilastri.

©CCC Development Team, Twitter

Mantenere sempre una mentalità fresca e sognante (un giorno vorrebbe «costruire una casa nei dintorni di Kartuzy con un laghetto e un albero, sotto il quale mettere una panchina su cui gustarsi una birra nelle giornate più calde»), non badare a quello che la gente dice di lui, non far caso ai paragoni (molti l’hanno accostato al suo idolo, Peter Sagan, un confronto che lui rifiuta dicendo di voler «creare un suo marchio di fabbrica ed essere lui, poi, il termine di paragone») e affidarsi alla fede in Dio sono, infatti, gli altri basilari comandamenti che lo sostengono e che aiutano a tracciare un quadro più completo della sua personalità.

In aggiunta, poi, bisogna dire come, grazie alle dure lezioni ricevute dopo il Mondiale del 2018 e al passaggio nel World Tour nel 2019 con la CCC, Sajnok sia riuscito a limare ulteriormente alcuni aspetti del proprio carattere, denotando ancor più classe e maturità: accettare le sconfitte, misurarsi ad un livello decisamente superiore e ascoltare i consigli dei compagni di squadra hanno consentito a Szymon di variare il proprio approccio alla professione. Pur mantenendo intatta la fiducia nei suoi mezzi e la voglia di vincere, col tempo ha compreso che essere umili e sacrificarsi per qualcun altro accantonando le proprie velleità è fondamentale e che, a volte, il lavoro può anche non portare a una vittoria.

È questo lo spirito con cui il corridore casciubo ha affrontato la sua prima stagione nell’élite del ciclismo (zero successi, se escludiamo il primo posto di squadra in una frazione della Hammer Stavanger e il titolo di campione polacco nelle prove a cronometro tra gli Under 23, categoria alla quale può ancora iscriversi vista l’età) e ha preso ancor più coscienza dei propri mezzi, comprendendo dove migliorare e su quali corse puntare. In quest’ottica, l’obiettivo primario al momento dovrebbero essere le gare di un giorno, ma il sogno – giustificato dall’eccellente quinto posto raccolto nella gara riservata agli juniores nel 2015 – si chiama Parigi-Roubaix.

Un successo nell’Inferno del Nord, respingendo le imprevedibili insidie della corsa e uscendo indenne da banchi di polvere marrone come dai grigi settori di pietre sconnesse, per Sajnok sarebbe l’apoteosi e giustificherebbe la scelta di fare esperienza, ambientarsi e dedicarsi alla strada sacrificando momentaneamente le ambizioni su pista. Perché è su asfalto che Szymon trova l’adrenalina, quella data «da una discesa a ottanta chilometri orari, dove da un momento all’altro puoi cadere e quindi devi controllare ogni cosa», la voglia di competere e soprattutto il gusto di «correre coi compagni».

©WSFR Cyclisme, Twitter

«Amo vincere da solo, ma ora penso di essere ugualmente felice se a vincere è un mio compagno e io l’ho aiutato», ha dichiarato il polacco qualche mese dopo il suo brillante successo iridato in terra d’Olanda.

Si può quindi dire che Sajnok abbia riposto con serenità la maglia coi (suoi) colori iridati nell’armadio, chiudendo il cassetto e il capitolo dedicato alle gare su pista. Questo però solo temporaneamente, perché la brama di una medaglia olimpica e di tornare a calcare quei lignei palcoscenici è stata accantonata ma non abbandonata. Lo spostamento dei Giochi Olimpici di Tokyo, anzi, per lui che aveva optato per fare un’intera stagione su strada, potrebbe portarlo nel 2021 ad assecondare subito quella voglia e puntare a quei cinque cerchi (guarda caso degli stessi colori) che, mal che vada, metterà nel mirino nel 2024. Per quell’appuntamento, però, potremmo nel frattempo aver visto il giovane della Cassubia alzare le braccia al cielo ben più d’una volta, sicuri che saranno stati trionfi conquistati nel segno delle tre “C”: colori, classe e (amore per il) ciclismo. La CCC di Szymon Sajnok.

 

 

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